«Non ci sono elementi sufficienti e lo dimostra il modo in cui il tribunale del Riesame ha deciso di annullare l’accusa di violenza sessuale di gruppo e omicidio volontario per due indagati. E a deciderlo è stato un collegio che non è conosciuto come “tenero”».

L’avvocato Giuseppina Tenga ha un compito difficilissimo: difendere Chima Alinno 47enne nigeriano, indagato per la morte della 16enne Desirèe Mariottini, trovata senza vita un mese fa in uno stabile di via dei Lucani, nel quartiere San Lorenzo. Secondo l’accusa, è stata drogata e violentata ripetutamente, singolarmente e in gruppo, e poi lasciata morire senza che nessuno facesse nulla per aiutarla. Assieme ad Alinno sono indagati e attualmente in carcere anche Brian Minthe, 43 anni, l’altro per cui i due capi d’accusa sono caduti, Yusif Salia e Mamadou Gara, per il quale il Riesame ha invece confermato l’accusa di omicidio volontario.

Una storia difficilissima da districare. Ma le indagini, afferma Tenga, «condotte in tal modo rischiano di non rendere giustizia a quella povera ragazza». E intanto il legale deve affrontare anche gli insulti di chi la accusa di difendere un mostro.

Quali sono le cose che secondo lei non vanno nelle indagini?

Ci sono molte incongruenze nelle dichiarazioni dei testi e la loro attendibilità non è dimostrata. Partiamo dal fatto che si tratta di persone tossicodipendenti che quella notte si trovavano a San Lorenzo, quando è stato trovato il corpo della ragazza. Queste persone sono state prese, portate in Questura e messe in una stanza. In quella stanza c’erano delle microspie. Dalle intercettazioni realizzate con quelle microspie, leggendo la parte riassuntiva, si evince come tutti si siano raccontati l’un l’altro quanto avevano visto. Le dichiarazioni di quei testi sono dunque fatti riportati da altri.

Perché ha letto la parte riassuntiva e non le intercettazioni per intero?

Dovevano essere messe a disposizione dei legali, ma ci sono state consegnate soltanto all’udienza davanti al Riesame. Leggendo la parte riassuntiva, tra l’altro, si evince come ad un certo punto i testimoni, in Questura, si siano detti: “perché non ci facciamo una fumata di crack? ”.

Secondo lei sono inattendibili?

Sì, perché si tratta di testimoni interessati, in quanto destinati a diventare indagati per omissione di soccorso. Tutti quanti, ad un certo punto, dicono di aver visto Desirèe - che era andata lì, come già era successo, perché cercava la droga - stare poco bene, ma nessuno ha fatto nulla per aiutarla concretamente. L’ambulanza è stata chiamata quando ormai era già morta. Inoltre fanno riferimenti ad orari precisi, pur non avendo orologi, come da loro stesso affermato.

Lei ha parlato di incongruenze nei racconti. Quali sono?

Allo stato, la violenza di gruppo è solo una supposizione avanzata da una delle testimoni, tale Muriel, che dice di aver pensato ciò perché l’ha vista nuda dalla vita in giù. Anche l’ipotesi che le sia stato somministrato un “mix” di droghe e psicofarmaci è una sua deduzione. Quindi le sue supposizioni sono diventate grave indizio, nonostante questa persona venga indicata da un’altra testimone, tale Antonella, come colei che avrebbe rubato il tablet alla povera Desirèe.

Il tablet è stato trovato?

Antonella dice di averlo visto in mano a Muriel qualche giorno prima e che voleva venderlo. Ma oltre questo non se ne parlerà più.

E le parole di Antonella sono credibili?

Di sicuro non possono considerarsi un indizio grave. Lei dice di non aver visto Desirèe fare sesso con nessuno, ma di aver saputo da tale Pi che Muriel gli avrebbe detto che Desirèe era stata drogata e stuprata. Quindi ha riportato una deduzione di Muriel riferitale da Pi. E anche Narcisa ( altra tossicodipendente della zona, ndr) ha riferito ciò che ha saputo da Muriel.

Rimane però in piedi l’accusa di violenza sessuale aggravata dalla minore età.

Una ragazza di 16 anni, per legge, non può mai dare un consenso consapevole, a maggior ragione se tossicodipendente. Ci sono due persone che dichiarano spontaneamente, ancora prima di finire sul registro degli indagati, di avere avuto rapporti consensuali con lei, ovvero Yousif e Gara, alias Pako. Diverse persone l’hanno vista andare via mano nella mano, verso le 15, con Yousif, che poi è uscito da solo e al suo posto è entrato Pako.

L’autopsia cosa dice?

Che i segni tipici della violenza sono cicatrizzati. I graffi hanno tutti le crosticine, indice del fatto che non possono essere del giorno in cui è morta. Da quello che scrive il medico legale, non si possono mettere in relazione i segni di violenza alla morte, cosa che invece la procura fa. L’unica certezza che emerge dall’esame è che quel giorno avesse avuto dei rapporti sessuali. Per il resto si tratta solo di supposizioni.