«Se Cicerone è sinonimo di eloquenza, io ero sinonimo di monnezza. Ma serviva un sacrificio e il sacrificio c’è stato». Manlio Cerroni punta lo sguardo fuori dalla finestra, che osserva seduto alla sua scrivania. Il suo è un racconto lungo 10 anni, quelli passati tra indagine e processo, ma parte da prima, da quando, giovanissimo, trasformò il rifiuto «da problema ad opportunità», diventando il ras dei rifiuti. Il “Supremo”, si sente dire nelle intercettazioni che lo avevano inchiodato. Ma dell’aura criminale di Cerroni, avvocato 92enne patron della discarica di Malagrotta, non è rimasto nulla. Non c’è mai stata un’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, ha stabilito 10 giorni fa la prima sezione penale del tribunale di Roma.

Non ha commesso il fatto, dunque va assolto. Per l’accusa, si è arricchito smaltendo i rifiuti sin dagli anni ‘ 50, in un regime di assoluto monopolio, con frode in pubbliche forniture, truffa e falsità ideologica. Tutto è svanito. Ma Cerroni, intanto, è diventato «un reietto». «Sono un monnezzaro, ho amato questo lavoro fino a viverlo tutti i giorni - racconta al Dubbio - Ma sono stati lunghi questi 10 anni...».

Com’è iniziata questa indagine?

Più che com’è iniziata, bisognerebbe chiedersi quando è iniziata. Nel 2008, con Report. Ci fu una polemica quando l’assessore regionale alle Politiche della casa Mario Di Carlo, in un fuorionda, ammise di essere mio amico. Si scatenò una guerra sotterranea. Per 60 anni ho trasformato il rifiuto da problema a opportunità, tant’è che grazie a me è stato fatto il primo impianto industriale della rivoluzione dei rifiuti a Roma. Decantato dai giornali, dalle tv, visitato da delegazioni di tutto il mondo. Il problema dei rifiuti era diventato un’industria. Ma in questo paese non si può durare tanto, per in- vidia. E ne hanno approfittato.

Quindi hanno voluto affossarla, dice?

Ero durato troppo. Duri troppo anche se fai bene. E così una mattina hanno bussato alla mia porta per arrestarmi. Nonostante chiedessi alle procure da anni, sull’eco di Report, di essere ascoltato, di avere un confronto… Ma niente. Era scritto, io penso che era scritto. Sostenevo, direi con violenza, di essere un missionario, un benefattore di Roma, perché non solo ho fatto i servizi come andavano fatti, ma in termini economici i più vantaggiosi.

Cioè?

Roma è la sola metropoli al mondo che nel 1973- 74, con la crisi del canale di Suez, non ha speso una lira per lo smaltimento e il trattamento dei suoi rifiuti, ma ha pure incassato. I cosiddetti sottoprodotti che si ricavavano dai rifiuti ebbero un incremento di prezzo strepitoso, del 100, 120 per cento. E poiché il rapporto economico che c’era con il Comune prevedeva una parte in moneta e una parte determinata dal recupero, che doveva essere posta attiva, il Comune, nel tirar fuori i conti, con i prezzi alle stelle, anziché pagare il servizio incassò circa 800 milioni.

Torniamo all’indagine: quindi non hanno voluto sentirla.

Ho protestato in tutti i modi, ho scritto lettere, ho sfidato tutti al confronto… Sono rimasto inascoltato. Sin dal 2014 ho detto: vi sfido tutti, vi do il mio patrimonio, quello che volete, mi dovete contestare un atto. Allora di- cono: non hai fatto le gare. È tutta una gara invece! Ci sono da chiedere le autorizzazioni? Chiedo l’autorizzazione! Ho sfidato la Gabanelli all’epoca, dicendo: sono un benefattore, perché ho risolto un problema sul quale sono tutti in difficoltà. Nel ‘ 95, ad esempio, Milano aveva i rifiuti in primo piano, ci hanno chiamato e in otto mesi abbiamo fatto quattro impianti. Non parliamo poi di Napoli: anche lì abbiamo fatto la gara, abbiamo vinto, ma poi ci hanno buttati fuori. Fosse stata portata a termine, le cose non sarebbero andate così. Questo discorso dei rifiuti trattati a Roma è stato prima una palestra, poi una pedana, perché poi da Oslo a Sidney, da Barcellona a Toronto, venivano a Roma a visitare gli impianti e anche senza gare ci hanno fatto fare progetti.

E ora è stato assolto.

Per quel che può valere, ho tenuto a pubblicizzarlo sul Tempo, per ricordare dopo tanto clamore che se il mugnaio di Potsdam aveva trovato un giudice a Berlino, io il monnezzaro - mi considero il monnezzaro, perché nessuno ci ha speso 70 anni, fino a viverlo tutti i giorni - l’ho trovato a Roma. Quindi, a buon diritto, e nessuno è in grado di smentirlo, io sono imparadigmabile: nessuno porta con sé l’esperienza e la capacità che porto io nei rifiuti, perché ho fatto 14 anni di apprendistato, non solo in Italia ma in Germania, in Francia, in Olanda per capire e dire “questa strada è sbagliata”. È stata una rivoluzione dire “noi i rifiuti non li bruciamo, non li buttiamo in una fossa al mare, al fiume, dove volete voi”. No, noi li utilizziamo, trasformandoli in materie prime. Questo è quello che abbiamo fatto. Roma ha perso un’occasione irripetibile.

Perché?

Avevamo proposto addirittura la differenziata con la materia organica, che nel rifiuto ormai rappresenta il 25- 30 per cento, proponendo di fare un impianto in un’azienda da 100 ettari, affinché ne venisse fuori il biometano. Ma non a parole: noi lo abbiamo già fatto a Malagrotta, dove c’è un impianto per il biometano dal 1987. Nel ‘ 97 la Fiat e l’Iveco hanno fatto un congresso europeo a Malagrotta, portando 14 macchine trasformate a metano che andavano al centro a fare la raccolta. Tutto distrutto, tutto abbandonato. Facemmo i conti al tempo di Rutelli che con la raccolta differenziata si produce una quantità tale di biometano che può alimentare tutti gli automezzi dell’Ama, dell’Atac, i taxi e rimaneva qualcosa pure per le macchine blu. Questa è una cosa eccezionale. Non solo, ma addirittura poi fare delle palestre agricole per gli studenti dell’agrario, con sperimentazioni e scuole sul posto.

L’hanno accusata di traffico illecito di rifiuti. Quali rifiuti avrebbe trafficato?

Non ci posso pensare. La mente dove va subito con un’accusa così? Alla terra dei fuochi. Ma il traffico illecito contestato a noi si riferisce al fatto che, nel trattare i rifiuti alla discarica di Malagrotta, da una cava lontana un chilometro, di nostra proprietà, prendevamo la terra, come prevede la legge. A Genova, ad esempio, c’è una discarica simile a quella di Malagrotta, anche se le proporzioni sono più modeste, ma la differenza tra i costi di un servizio pubblico come quello di Roma rispetto a quello privato è di 2 miliardi di euro, proprio per la terra. A Malagrotta era tutto casa e bottega. CI hanno contestato il traffico illecito di rifiuti anche ad Albano, che produce la frazione secca, e per legge doveva essere portata all’inceneritore di Colleferro. Ma erano più i giorni che stava fermo che quelli in cui lavorava: in cinque anni è rimasto chiuso quattro. E allora questa roba dove veniva portata? Nella discarica, dove si portavano i residui di lavorazione. E quello era un residuo lavorato, ma con meno porcherie.

C’erano le autorizzazioni?

Certo. Anzi, era proprio previsto che si portassero lì in caso di chiusura dell’inceneritore. Non a caso il tribunale che cosa ha detto? Ma quale traffico illecito di rifiuti, semmai non hanno rispettato l’autorizzazione e in quel caso gli fai una contravvenzione. Ma noi abbiamo rispettato l’autorizzazione. Anche perché poi è venuta la legge per cui le terre vergini non potevano essere considerate rifiuto. Ma intanto ci hanno chiamato malavitosi. Il danno che è stato fatto è enorme.

Quindi avete dimostrato in aula che i documenti erano in regola?

Ma se tutte le nostre argomentazioni non fossero state confortate in fatto e diritto, il tribunale avrebbe mai potuto assolvere? Era tutto nelle regole! Basti dire che ho tentato in tutti i modi di parlare, ma non me l’hanno permesso. Era un disegno.

C’è molta polemica sul linguaggio della stampa in questi giorni. Lei com’è stato trattato?

Voglio scrivere ai giornali riportando i titoli che hanno pubblicato sull’indagine e come invece hanno trattato la notizia dell’assoluzione. A qualcuno devo far giudicare tutto questo. Sono stato distrutto dalla stampa. Il solo fatto di pronunciare il nome Cerroni creava scalpore... Un reietto.

Perché poi c’è stata anche l’interdittiva antimafia...

Quindici giorni dopo. Il prefetto Pecoraro, nominato commissario, ha dichiarato: “dovevo spezzare il monopolio”. Il monopolio di un lavoro che la gente ripugnava! In realtà il suo mandato era diverso, doveva trovare il sito per la discarica. Martedì ho scritto al prefetto, chiedendo la revoca sulla base della sentenza di assoluzione. E aspetto.

E dopo l’assoluzione com’è andata?

Oggi gli amici si scusano tutti quanti.

Se non è un criminale, chi è in realtà Manlio Cerroni?

Sono stato il più giovane sindaco d’Italia. Mio padre mi disse: sindaco o non sindaco, la chiave di casa non te la do. A mezzanotte si chiude, chi è dentro è dentro. E ho fatto tre mandati. Il primo fu una battaglia, al secondo vinsi con il 76 per cento, al terzo si sono rifiutati di fare le elezioni: “o lui o niente”, dissero. Perché gli avevo dato acqua, strade, luci, fogne. Ho fatto una rivoluzione, una cosa incredibile. La mia media di lavoro è di 15- 16 ore al giorno. Dovevo fare sette anni di ferie che non ho mai fatto, quindi ho fatto il conto: sto sfiorando i 300 anni. E adesso io non posso che ringraziare di essere sopravvissuto, perché chiunque, dopo la mia esperienza, sarebbe stato distrutto, cancellato.

Come sono stati questi 10 anni?

Lunghi. Chi accennava a fare servizi positivi su di me veniva ostacolato. Questa è la cosa che non perdono. Ho scritto a tutti, anche a Mattarella, hanno tutti i documenti, ma nessuno poteva dire niente. Non so quanti milioni di carte, roba che è costata. Ma è normale che Altissimi ( Fabio, il grande accusatore di Cerroni, ndr) conoscesse in anticipo perfino la data del mio arresto? Ci sono delle intercettazioni dei carabinieri che dicono: questi sanno tutto dall’altra parte, ma che è successo? Tutti zitti. Vi pare normale che a tre testi d’accusa suggerissero cosa dire all’interrogatorio? Altissimi, risultato inattendibile, è uno strumento, nell’arringa il pm lo ha citato 949 volte questo pilastro. Ci sono anche delle denunce contro questa persona e l’ho voluto ricordare con le dichiarazioni spontanee prima della sentenza. Qui ci sono atti e fatti, vero o non vero. Se era vero ieri ciò che diceva lui, dato che è stato cardine dell’accusa, deve essere vero anche oggi. O bisogna avere il coraggio di dire “ho sbagliato”. La mia vita continuerà, lavorerò fino a che il buon Dio vorrà, perché vorrei morire lavorando. Ma considero un lavoro anche punire, cioè sollecitare, mettere a nudo queste situazioni, perché la gente prenda coscienza.

Lei ha scritto al sindaco Raggi per aiutarla a risolvere il problema dei rifiuti. Le ha risposto?

Mai. Oggi avrei paura anche io se mi dicessero di fare il commissario, con tutti i poteri. Come può uscirne Roma, a cui ho dato tutto, i migliori anni della mia vita? Purtroppo non c’è niente da fare. Ma voglio, per quel che posso, mettere a disposizione almeno l’esperienza, la competenza e la passione che ho. Ma non l’accettano. Perché c’era il marchio d’infamia. Della sindaca non comprenderò mai, e con me i romani, perché abbia rifiutato più volte, l’ultima il 26 ottobre, la mia disponibilità ad impegnarmi per il programma “Roma pulita”, preferendo piuttosto vederla ridotta a discarica a cielo aperto.