Metà mattinata. Tocca ai rappresentanti dell’avvocatura rispondere ai quesiti dei parlamentari, nella “congiunta” delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera. Il presidente del Cnf Andrea Mascherin sfida a «individuare un solo caso in cui l’avvocato possa allungare il processo». Dalla platea dei deputati replicano: «Col legittimo impedimento», e Mascherin ricorda che «in casi del genere il decorso della prescrizione viene sempre interrotto». Un altro esponente della maggioranza gioca allora un carta azzardata.

L’avvocato può allungare i tempi col ricorso in appello», dice. E il presidente del Cnf si trova costretto a spiegare: «Ricorrere in appello è un diritto, non un atto dilatorio». L’audizione, come le altre andate in scena ieri, dovrebbe sciogliere il nodo dello stop alla prescrizione, inserito con l’ormai noto emendamento nel ddl “Spazzacorrotti”. Modifica epocale da mettere a punto in pochi giorni: oggi alle 17 scade il termine per gli emendamenti, lunedì prossimo la legge voluta dal guardasigilli Bonafede va in Aula. Materia complessa sulla quale vengono sentiti i più autorevoli esponenti del mondo del diritto. Gli avvocati, appunto: con Mascherin, anche il segretario dell’Unione Camere penali Eriberto Rosso. La magistratura: non solo il presidente dell’Anm Francesco Minisci ( della cui posizione diamo conto in servizio a parte, ndr) ma anche i vertici della più alta magistratura, ossia il primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone, il procuratore generale Riccardo Fuzio e il presidente emerito della Suprema corte Giovanni Canzio. Ancora, rappresentanti di primo piano dell’accademia, come i professori Vittorio Manes e Gian Luigi Gatta. Tutti mettono in guardia la maggioranza dai rischi di una riforma della prescrizione slegata da un più complessivo riordino del processo. Ed è proprio Mascherin a segnalare che «il collegamento tra norme sulla prescrizione e riforma complessiva del processo deve essere esplicito: già nel ddl Anticorruzione dovrebbe essere prevista una clausola di collegamento, che subordini l’entrata in vigore della modifica sull’estinzione del reato alla preliminare entrata in vigore della progettata riforma». Banale promemoria. Ma decisivo. Già oggi si capirà se la complicata dialettica fra Lega e cinquestelle sarà risolta da una simile norma. «Non ci può essere incertezza su questo», avverte il presidente del Cnf, «parliamo di temi che involgono in maniera sostanziale lo Stato di diritto».

CANZIO: COSÌ LA NORMA È INCOSTITUZIONALE

Il richiamo di Mascherin si lega all’idea, da lui sostenuta, che «solo con un tavolo di confronto, una commissione ministeriale forma- ta innanzitutto da avvocati e magistrati, si potrebbe definire una riforma del processo». Vuol dire che non si potrà certo andare avanti in modo sbrigativo. Eppure questo è il carattere della modifica sulla prescrizione, in apparenza disinnescata dal rinvio dell’entrata in vigore, posticipata al 2020 come chiarito dal guardasigilli Bonafede. Il punto è che interrogativi come quello citato all’inizio sui ricorsi in appello ridotti ad astuzie dilatorie mostrano come il Parlamento non sia pronto per una grande riforma, e che davvero gli esperti saranno decisivi. Sempre che verrà dato loro ascolto. Sempre che, per esempio, si raccolga l’allarme di Canzio: «Io personalmente ho fortissimi dubbi sulla costituzionalità della norma cosi come e formulata», è la sua stroncatura. «Attenzione anche a rompere l’asse tra avvocatura e magistratura, una rottura che vede lo sciopero degli avvocati e magistrati costretti a celebrare numerosissimi processi: tutto questo non fa bene al sistema», aggiunge.

Questo come altri giudizi piovuti ieri dovrebbero suggerire uno stop. Si dovrebbe riflettere su alcuni rilievi dell’avvocatura che trovano puntuali riscontri proprio in Canzio. Il segretario Ucpi Rosso fa notare che «abolire la prescrizione rallenterebbe anche le indagini: fin dalla sua apertura ogni fascicolo penale reca la data in cui il reato si estinguerebbe, è quella la bussola». E il presidente emerito della Cassazione poche ore dopo conferma: «Senza altri interventi il solo blocco della prescrizione è un rischio, anche rispetto alla durata delle indagini». Fino alla via d’uscita proposta da Mascherin: «Bisognerà individuare termini perentori in capo al magistrato nelle varie fasi del procedimento, con la eventuale estinzione di quest’ultimo in caso di mancato rispetto di tali termini. Ma certo», aggiunge, «servono investimenti per dar modo al magistrato di operare in maniera efficiente». Di nuovo, lo stesso Canzio la pensa così: «Lo stop alla prescrizione avrebbe senso se si lavorasse sulla ragionevole durata delle varie fasi del processo, che è il vero problema della giustizia in Italia, a partire dalle indagini». Chiarissimo, non ci servirebbe aggiungere altro. Come è chiaro che norme sui tempi di fase non possono essere improvvisate con un emendamento volante.

Le indicazioni offerte da avvocatura, accademia e magistratura sono tante. Mascherin ricorda la necessità di «restituire all’udienza preliminare la propria natura di effettivo filtro» e di «rendere concretamente appetibili i riti alternativi, mentre ora si interviene in direzione contraria sull’abbreviato». Dai professori arrivano giudizi anche più aspri: secondo Nicola Pisani «la proposta sulla prescrizione ha un’anima autoritaria» anche perché ne reintroduce «il decorso dal giorno in cui è cessata la continuazione per i reati continuati, formulazione del Codice Rocco». Ma il più severo è Manes, dell’università di Bologna: «Rischiate di mettere su un processo kafkiano, un diritto penale concepito come uno sterminio giuridico dei corrotti, un’idea cattiva e prigioniera di finalità politiche». Ed è forse l’idea che sarà più difficile spazzare via.