Contestato dalla sinistra messicana perché ha impoverito i lavoratori dei campi a vantaggio dell’agricoltura industrializzata statunitense e dalla destra americana, con Trump che lo ha definito «il peggior accordo commerciale di sempre» e ne ha fatto un cavallo di battaglia per la difesa dei salari operai americani minacciati dalla competizione degli assemblatori messicani, il NAFTA che va ora a revisione è diventato il fulcro di tutte le divisioni del nordamerica. Per fare un esempio il giorno stesso della sua entrata in vigore nel 1992, scoppiò la rivolta dei contadini nel Chiapas, con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale guidato dal Subcomandante Marcos che occupò per anni villaggi della Selva Lacandona.

Il processo di revisione aperto dal Presidente Trump è attualmente in corso, non senza complicazioni che ne rendono incerto l’esito. Per prima cosa la politica commerciale di Trump, più propensa ai dazi che agli accordi di libero scambio, è ondivaga nell’atteggiamento negoziale, consapevole degli enormi vantaggi che le imprese agricole e gli industriali degli Stati Uniti hanno avuto dall’accordo, ma con la forte pressione contraria dei lavoratori delle industrie, che sono un pezzo importante della base elettorale di Trump e che sono stati danneggiati da delocalizzazioni e bassi salari messicani. Il dato incontrovertibile è che negli anni di vigenza dell’accordo solo nel 1993 gli Stati Uniti hanno avuto un surplus commerciale col Messico, oggi il deficit è di circa sessantaquattro milioni di dollari annuali.

In Messico invece le elezioni presidenziali di Luglio hanno sconquassato il sistema politico, imprimendo una svolta senza precedenti nella storia del Paese. Il PRI, che ha governato dal 1928 al 2000 e poi dal 2012 ad oggi, ha racccolto il peggior risultato elettorale della sua storia; la sinistra del PRD si è alleata con la destra del PAN, perdendo malamente e facendo sì che il movimento Morena fondato dal neo presidente Andres Manuel Lopez Obrador non abbia di fatto un’opposizione politica e incarni le speranze di riscatto di tutta la popolazione messicana.

AMLO non è ancora entrato formalmente in carica, ma ha nominato una squadra di transizione che sta affiancando il Presidente uscente Pena Nieto sulle questioni più spinose. Tra queste la negoziazione del nuovo trattato commerciale con gli Stati Uniti, il cui accordo preliminare si sta concludendo in questi giorni, e che non è chiaro se sarà la nuova base per la revisione del NAFTA o se lo sostituirà decretandone la morte.

Questo accordo preliminare, oltre a regolare anche l’economia digitale che non era ovviamente nemmeno menzionata in quello del 1992, ha forte l’impronta di Trump, in particolare perché alza dal 62% al 75% la percentuale di componenti degli autoveicoli che dovranno essere prodotti in Nord America, fissa obblighi di impiego di acciaio e materiali locali e impone che almeno il 65% di ogni veicolo sia prodotto da lavoratori che guadagnano almeno 16 dollari l’ora; cosa comune negli Stati Uniti, non certo in Messico.

Trump ha annunciato che questo accordo preliminare avrà in ogni caso un nome diverso dal NAFTA, ma non ha chiarito se lo sostituirà completamente o se ne costituisce un aggiornamento.

Il tema vero a questo punto riguarda la partecipazione del Canada al nuovo accordo. Sia Il Messico che gli Stati Uniti hanno dichiarato piu volte fondamentale la partecipazione canadese, ma sinora la trattativa sulla revisione del NAFTA è rimasta bilaterale, non allargandosi mai ai canadesi. L’annuncio della sottoscrizione di un accordo preliminare ha irrigidito ulteriormente i rapporti con Ottawa. Il primo ministro canadese Trudeau ha protestato fortemente per l’esclusione del suo Paese dalla negoziazione bilaterale e per ora non dà molti segnali di apertura all’amministrazione statunitense. Trump dal canto suo, ha individuato nemici anche nel libero commercio con il Canada, in particolare nel settore caseario e ha dato un ultimatum poi posticipato ai canadesi, al fine di chiudere l’accordo entro fine mese.

Ma Trudeau non ci sta, pretende che venga mantenuto un meccanismo di risoluzione delle dispute commerciali per contestare le sanzioni imposte da uno degli Stati sottoscrittori, cioè perche «Trump non sempre segue le regole in vigore e il Canada non accettera un qualsiasi accordo solo perché lo vuole il Presidente americano» .