Colpo di scena nel caso Weinstein. La Corte d’appello dello stato di New York ha annullato il verdetto nei confronti del produttore di Hollywood simbolo del Metoo, condannato nel 2020 per reati sessuali. Si tratta, scrive il New York Times, di uno straordinario capovolgimento che però non altera le fondamenta della vicenda su cui si sviluppò il movimento americano.

Con una decisione a stretta maggioranza, 4-3, la Corte d’Appello di New York ha stabilito che il giudice del processo che ha presieduto il caso aveva commesso un errore cruciale: alla procura fu consentito di chiamare a testimoniare una serie di donne che sostenevano di essere state abusate da Weinstein, ma le cui accuse non facevano parte dei capi d’imputazione nei confronti del produttore di origine ebraica. Nella motivazione della decisione si legge che Weinstein non fu dunque giudicato solo sulla base dei crimini che gli venivano imputati, ma anche sulla base dei suoi comportamenti passati.

Il ribaltamento della condanna e l’ordine di celebrare un nuovo processo potrebbero sembrare una svolta improvvisa e scioccante, ma nell’immaginario collettivo quella di Weinstein è una figura completamente disonorata: condannato a lunghe pene detentive in due città, inchiodato dalle testimonianze pubbliche di quasi 100 presunte vittime le cui storie hanno costituito la pietra angolare del movimento MeToo, il produttore ha conseguito poco più che una vittoria di Pirro. In termini legali la sua condanna a New York è sempre stata controversa e i suoi appelli hanno sempre avuto una possibilità.

L’avvocato di Weinstein, Arthur Aidala, ha detto al telefono con il NYT che la decisione «non è stata solo una vittoria per il signor Weinstein, ma per ogni imputato nello stato di New York, e ci complimentiamo con la Corte d’Appello per aver sostenuto i principi più elementari». Nel 2020, Lauren Young e altre due donne, Dawn Dunning e Tarale Wulff, riferirono in aula sui loro incontri con Weinstein ai sensi di una legge statale che consente la testimonianza di «precedenti comportamenti malevoli» per dimostrare un modello di comportamento. Ma la Corte d’Appello afferma che «l’accusato ha il diritto di essere ritenuto responsabile solo per il crimine contestato». Ashley Judd, la prima attrice a farsi avanti con accuse contro Weinstein, contattata al telefono dal New York Times ha detto che la decisione «è ingiusta nei confronti dei sopravvissuti». «Viviamo ancora nella nostra verità. E sappiamo cosa è successo» ha aggiunto. «È un giorno scioccante e scoraggiante per le sopravvissute ad aggressioni sessuali», ha detto Jane Manning, direttrice del progetto Women’s Equal Justice ed ex procuratore per crimini sessuali e «dimostra quanto lavoro ancora dobbiamo fare tutti, per portare avanti gli ideali del movimento #MeToo».

Il magnate del cinema caduto in disgrazia, 72 anni, sta scontando una pena di 23 anni in una prigione di New York in seguito alla condanna per aver praticato sesso orale con la forza su un assistente di produzione televisiva e cinematografica nel 2006 e stupro di terzo grado per un’aggressione a un’aspirante attrice nel 2013. Rimarrà in carcere perché è stato giudicato colpevole a Los Angeles nel 2022 di un altro stupro e condannato a 16 anni di carcere.

Weinstein è stato assolto a Los Angeles dalle accuse che coinvolgevano una delle donne che avevano testimoniato a New York. L’inversione della condanna di Weinstein è la seconda grande battuta d’arresto di #MeToo negli ultimi due anni, dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato di esaminare un appello contro la decisione di un tribunale della Pennsylvania di respingere la condanna per violenza sessuale di Bill Cosby.