I magistrati che si occupano della giustizia minorile sono invitati ad applicare una spinta repressiva e non più “morbida”. Non solo in termini cautelari, ma in via preventiva anche attraverso un inasprimento precautelare. Questo è in sintesi ciò che c’è viene indicato nel documento licenziato dal plenum straordinario del Consiglio superiore della magistratura in trasferta a Napoli dell’ 11 settembre. Si tratta di una risoluzione in materia di attività degli uffici giudiziari nel settore della criminalità minorile approvato dal Csm sull’emergenza minori a Napoli, documento che fa seguito alle audizioni della primavera scorsa per individuare misure di contrasto al fenomeno delle “baby gang”. Il documento, curato dal presidente della sesta commissione Paola Balducci e dei tre membri togati napoletani Antonelo Ardituro, Lucio Aschettino e Francesco Cananzi, sarà all’attenzione del capo dei presidenti di Camera e Senato, di vertici del governo e degli enti locali.

INASPRIMENTO SETTORE PENALE

È nel nome del bilanciamento tra il recupero del minore e la tutela sociale dalla sua condotta deviante, che il Csm dimostra di volere ricalibrare l’intervento giurisdizionale in modo che il contrasto sia effettivo e non sia pregiudicato dalla finalità rieducativa. È senza mezzi termini che vengono sollecitati i magistrati a tenere in conto, nei casi generalmente descritti di “pericolosità sociale elevata”, che una blanda risposta giudiziaria potrebbe solo ingenerare un senso di impunità, anziché la sua funzione rieducativa. L’obiettivo di questa spinta repressiva? Chiaramente espresso: far percepire ai minori l’autorità dello Stato e della magistratura fin dal loro primo contatto con la polizia giudiziaria. È per questo che il Csm mette in conto di proporre di intervenire sui limiti edittali di applicabilità delle misure cautelari ma anche precautelari oltre che sulla loro durata. Scrive infatti il Csm «Da questo punto di vista la magistratura minorile calibra la propria azione, valutando la gravità dei fenomeni in atto e dei singoli reati attraverso un’attenta e rigorosa utilizzazione degli strumenti a disposizione, siano essi di natura cautelare o quelli peculiari del settore minorile, con l’obiettivo di contra- il senso d’impunità sempre più` diffuso nel mondo, di sottovalutazione delle conseguenze (..) che rischia di rappresentare un volano e un moltiplicatore di condotte delittuose (...)».

In soldoni il Csm rivolge lo sguardo, per dare maggior enfasi alla finalità repressiva dell’intervento giurisdizionale, anche alle misure cautelari e precautelari, come se non fossero abbastanza incisive in ragione dell’affidamento che i minori ripongono sul fatto che possono sottrarsi all’arresto o al fermo della polizia giudiziaria. È su questo piano di pensiero che il Csm allude ad un doveroso ripensamento circa l’adeguatezza della disciplina: i limiti edittali di applicabilità delle misure cautelari e precautelari, sarebbero per il Csm inadatti per una risposta repressiva, al punto da valutare la proposta di modifica legislativa che allungherebbe i termini di custodia cautelare con una proroga. Le misure precautelari, ricordiamo, sono l’arresto e il fermo, quindi provvedimenti limitativi della libertà personale che eccezionalmente vanno a limitare la libertà della persona sancita all’articolo 13 della Costituzione. Parliamo, appunto di eccezione perché soltanto il giudice, con un suo provvedimento, può limitare la libertà della persona, mentre nei casi di necessità ed urgenza tale limitazione può essere posta in essere da agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria purché in presenza di determinati presupposti. Il Csm dà l’indicazione di inasprire anche queste misure per evitare che i giovani violenti dicano alla polizia: «Tanto che mi fate».

Ultimo, ma non per ordine di importanza, c’è l’invito ai magistrati, in nome della discrezionalità di cui dispongono in tema di valutazione della recidivanza, di considerare l’applicazione delle misure cautelari anche se si tratti di fattispecie di reato sanzionate con pene inferiori al limite edittale previsto in via generale, purché si «presentino connotazioni di allarmante gravità in concreto».

CARENZA ASSISTENTI SOCIALI

Se da una parte c’è il lato repressivo, dall’altra il Csm evidenza come il fattore ambientale incida molto sui minori violenti. Viene spiegato che le baby gang provengono, per la gran parte, da contesti familiari segnati da disgregazione o da gravi forme di disagio affettivo, economico o abitativo e vivono in periferie o in centri degradati, con alti tassi di disoccupazione e di dispersione scolastica, privi di presenze istituzionali deputate al sostegno delle famiglie e alla cura delle problematiche giovanili e persino di strutture che possano favorire momenti di aggregazione tra i minori. Ampia è l’estensiostare ne del territorio campano connotato da queste caratteristiche. Nel circondario napoletano numerose e vaste aree di disagio sono presenti, oltre che nelle “enclavi storiche” della delinquenza ( tra le altre, i Quartieri Spagnoli, Forcella, la Sanità, il Vasto, il Mercato, il Pallonetto di Santa Lucia), nei numerosi quartieri della periferia urbana ( Scampia, Secondigliano, Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Rione Traiano, Pianura), sviluppatisi a seguito di fallimentari politiche urbanistiche, come quella del decentramento delle famiglie disagiate del centro storico nel periodo del dopoterremoto, non accompagnate da adeguate misure di sostegno sociale e territoriale. Ma sono i numeri degli assistenti sociali che fotografano la mancanza di prevenzione. Nella regione Campania il numero totale in servizio presso o per conto dei comuni nell’anno 2018 ammonta a 1.042 unità, per una popolazione di 5.839.084 abitanti, di cui 3.117.000 insediati nella Città metropolitana di Napoli e 966.425 nel comune di Napoli, vale a dire un assistente sociale per 5600 abitanti. Secondo i dati ufficiali forniti dalla Regione alla Sesta Commissione referente, fortemente disomogenea è la presenza di assistenti sociali nei diversi territori: nel comune di Giugliano, terza città della Campania, vi sono 6 assistenti sociali ( a tempo determinato), per una popolazione di 124.139 abitanti ( un assistente sociale per 20.600 abitanti circa), mentre il comune di Napoli, con le sue 10 municipalità, ne conta 359, di cui 358 a tempo indeterminato ( un assistente per 2600 abitanti circa). Ancor più allarmante è la condizione dei comuni della Provincia di Napoli appartenenti alla fascia vesuviana: Torre del Greco, Torre Annunziata, Pompei, Castellammare di Stabia, Trecase, Boscoreale, Boscotrecase, Gragnano, Agerola, Pimonte, Lettere, Casola di Napoli, Santa Maria la Carità, Sant’Antonio Abate, stando ai dati, sono del tutto sprovvisti di assistenti sociali. Perciò Il Csm invita le istituzioni comunali e centrali, anche con l’adozione di misure straordinarie che comportino il superamento dei limiti finanziari, a implementare gli organici del personale destinato a una funzione così rilevante, «allo stato – sottolinea il Csm - assolutamente insufficienti a fronte delle descritte emergenze, nonostante l’encomiabile impegno professionale e la dedizione di molti».