Non si può parlare di fulmine a ciel sereno. Ma neppure di annuncio scontato. Bonafede esce dall’equivoco in diretta su Rai3, ad Agorà, nel pieno di un intervento su diversi temi: dalle polemiche, aspre, di parte della magistratura nei confronti di Matteo Salvini al richiamo dell’Onu sul razzismo, che «è totalmente infondato». Ma quel breve passaggio sui termini di estinzione dei reati si staglia ben al di là dei temi di giornata, del mainstream dell’ultimo minuto. «Lo Stato ha fatto le indagini, ha iniziato un processo, è andato avanti, si è arrivati a una sentenza di condanna in primo grado e dopo finisce a tarallucci e vino, andiamo tutti a casa dicendo che non è successo nulla? Questo non è rispettoso dell’onestà e dei soldi degli italiani».

Non ci sono subordinate, nell’approccio del ministro al tema. L’intervento su uno dei principi di diritto sostanziale cruciali dell’ordinamento non è più condizionato al «rafforzamento degli organici», come invece era sembrato nelle precedenti occasioni. Nella sua prima uscita dinanzi alle commissioni Giustizia di Camera e Senato, per esempio, quando sulla prescrizione Bonafede aveva scelto di “sospendere il giudizio” perché «del principio della ragionevole durata del processo deve farsi carico lo Stato, non devono pagarlo i cittadini». Voleva dire: la prescrizione va sì bloccata dopo la condanna in primo grado ma a quel punto sarò lo Stato a evitare che la rimozione della ghigliottina temporale prolunghi il processo all’infinito.

Intanto la mossa di quello che si conferma ogni giorno di più come uno dei ministri chiave dell’esecutivo va letta anche in riferimento al ddl anticorruzione. In particolare alla norma forse più discussa e controversa, il Daspo, che il presidente dell’Anm Francesco Minisci aveva definito addirittura «inutile», visto che, con la spada di Damocle della prescrizione, quel tipo di pena accessoria non sarebbe arrivato quasi mai. Il vertice del “sindacato” dei giudici, il giorno dopo il via libera alla “legge Bonafede” in Consiglio dei ministri, aveva di fatto messo in mora il governo con un’intervista al Corriere della Sera zeppa di perplessità, ma segnata in particolare dal disappunto per la fragilità delle misure in vista dell’estinzione dei reati. A volerle leggere con banalità, le parole del ministro di Giustizia sembrebbero venire incontro proprio alle sollecitazioni di Minisci. Ma non è così. Piuttosto sembra chiara la rimonta che i cinquestelle intendono compiere ai danni del socio leghista proprio grazie ai temi della giustizia. Dopo un’estate con pochi provvedimenti ma molti protagonismi di Salvini, il Movimento guidato da Di Maio sembra intenzionato a rifarsi con gli interessi. E sul terreno delle decisioni concrete. A cominciare dalla stretta su indagini e processi.

Che ci sia un piglio fermo e una determinazione a indicare la linea, in campo giudiziario, è segnalato anche dal modo in cui il guardasigilli liquida la vicenda dei 49 milioni sequestrati al Carroccio: «Sono il ministro della Giustizia, non posso commentare un caso singolo attualmente al vaglio dei giudici: dico semplicemente che le sentenze vanno rispettate». Parole severe tanto più che di ordinanza e non di sentenza definitiva si tratta. E però Bonafede bilancia la porta chiusa sulla questione sequestro con una sostanziale difesa di Salvini dagli attacchi di una corrente delle toghe, Magistratura democratica: quando ad Agorà gli ricordano che il gruppo progressista dei magistrati aveva riscontrato una «portata eversiva» nelle parole del vicepremier, il ministro della Giustizia replica: «La magistratura deve fare molta attenzione a non esporsi su temi politici che non riguardino strettamente la magistratura: non è questo il caso, ma chiedo rispetto dell’autonomia della magistratura e dell’autonomia della politica».

È quasi un modo per dire che l’ultima parola spetta alla forza di governo in netta rimonta sull’alleato lumbard. Bonafede e i cinquestelle hanno il vento che soffia nella loro direzione. Sicurezza che però tradisce il guardasigilli quando torna sul ddl anticorruzione e propone un discutibile stato d’eccezione per il contrasto al malaffare: «La riabilitazione può esserci rispetto a tutti gli altri settori della vita, ma non per chi ha avuto il privilegio di avere un appalto con la pubblica amministrazione e si è macchiato di un fatto grave come pagare una mazzetta». Costui, per Bonafede, «non potrà più avere a che fare con la pubblica amministrazione, mi pare un principio sacrosanto». Affermazione relativa al famigerato Daspo e non sorretta da presupposti granitici. Ma in questo momento i pentastellati paiono immuni da tutto. Anche sulla nazionalizzazione delle autostrade, e non solo, tema al quale Bonafede non si sottrae per ribadire che «si tratta di una strada in grado di garantire sicurezza a tutti i cittadini che viaggiano, e che permetterebbe al governo di prendersi la responsabilità del sistema infrastrutturale».