I vincitori del concorso per la magistratura, dopo un primo periodo di tirocinio in cui avvicinano tutte le possibili funzioni, sono assegnati alla futura sede ed effettuano la seconda parte del tirocinio cosiddetto “mirato” centrato sulle funzioni specifiche che andranno a svolgere. La scelta della prima sede di servizio per i magistrati è un momento che segna, spesso

in modo decisivo, la loro futura carriera. Fino alla istituzione del Csm essa era assegnata dal Ministero, non sulla base di criteri prefissati, ma secondo “le esigenze di servizio”, concetto, come si può immaginare, alquanto permeabile a pratiche clientelari o discriminatorie. Il Csm, negli anni, ha progressivamente posto in essere una procedura trasparente, basata sul criterio oggettivo dell’ordine di graduatoria nel concorso, tra le sedi preventivamente comunicate come disponibili.

Il mio concorso, nel lontano 1970, fu tra i primi a sperimentare questa procedura. Ricordo bene l’atmosfera di quella giornata, piuttosto tranquilla per i primi in graduatoria che avevano ampie possibilità di scelta, ma di grande tensione per tutti gli altri, i quali, man mano che procedeva la chiamata, vedevano restringersi i posti disponibili.

Particolare la situazione di noi, quattro su trecento, vincitori di concorso del distretto di Milano cui era assicurata la riserva di una delle sedi milanesi, considerate disagiate e di difficile copertura. Infatti fino alla metà degli settanta i più brillanti tra i laureati in legge delle università milanesi tendevano a scegliere, oltre all’avvocatura, più remunerativi impieghi nel privato. I laureati con il massimo dei voti, ricevevano, come capitò anche a me, lettere con offerte di impiego nell’ufficio legale di grandi società, pubbliche o private o in uffici studi. La collega Elena Paciotti in un suo libro ha ricordato che quando vinse il concorso in magistratura ebbe uno stipendio che era circa la metà di quello che già percepiva nell’ufficio legale di una multinazionale. I tempi sono cambiati e oggi la magistratura, anche per i milanesi, è divenuta una prospettiva ambita.

Allora eravamo tutti molto giovani, ora il percorso per la magistratura è divenuto alquanto accidentato. Per accedere al concorso occorre avere frequentato, dopo la laurea, le Scuole di specializzazione per altri due anni. A mio avviso, anche sulla base della mia esperienza nel comitato direttivo di una di queste Scuole, occorrerebbe superare questo sistema, consentendo di accedere al concorso subito dopo la laurea ormai divenuta quinquennale; anche per evitare che i migliori laureati scelgano altre strade immediatamente disponibili. Si deve prendere atto della realtà: le Scuole hanno fallito l’obbiettivo di fornire ai giovani laureati un primo bagaglio di pratica e si sono ridotte a riproporre un inutile prolungamento dell’impostazione teorica dell’insegnamento universitario. Tanto è vero che molti candidati al concorso frequentano scuole private di preparazione. Basterebbe rendere facoltativa la frequenza delle Scuole di specializzazione, che a questo punto sarebbero “costrette”, se vogliono sopravvivere, a riorientare in senso pratico l’insegnamento entrando in “concorrenza” con le scuole private.

Allora si poteva entrare in magistratura a venticinque anni, oggi ben oltre i trenta, spesso con situazioni familiari già formate. Nella scelta della sede il vincitore di concorso deve prendere in considerazione la preferenza vocazionale ( giudice, pm, giudice del lavoro, magistrato di sorveglianza), ma ineluttabilmente la deve raffrontare alla situazione familiare che può spingere verso un scelta diversa, basata piuttosto sulla collocazione geografica lungo la penisola e le isole. La prima scelta tra posto di giudice e pm comporterà poi conseguenze rilevanti se si vorrà passare all’altra funzione, date le preclusioni territoriali. Per di più a seguito del primo intervento del governo Renzi sulla carriera dei magistrati nessun trasferimento potrà essere chiesto se non dopo quattro anni. Quella modifica legislativa sull’età del pensionamento e sulla permanenza minima in una sede rispondeva, a mio avviso, ad esigenze razionali, ma fu attuata in modo alquanto maldestro, con lo stop and go e le proroghe ad personas sull’età del pensionamento e con la irragionevole estensione del quadriennio minimo di permanenza anche alla prima sede. E’ ragionevole imporre una permanenza minima di quattro, anziché tre anni, a chi ha fatto una libera scelta nel corso della carriera, ma non ai magistrati di prima nomina, che, per la gran parte, non hanno potuto fare una scelta vocazionale. Avere la possibilità di orientare la propria carriera tra le varie funzioni secondo le proprie preferenze e non secondo vincoli geografici, non deve essere considerato un privilegio, ma una valorizzazione di quelle che ciascuno ritiene le proprie attitudini o specializzazioni perseguite già nel corso degli studi. Non mancano successivamente, con il sistema delle valutazioni quadriennali di professionalità, le possibilità di correttivi qualora la scelta si sia rivelata non adeguata.

Una lunga permessa per chiarire cosa significa in pratica la convocazione dei magistrati per la scelta della prima sede. Da diversi anni il Csm,

dopo aver comunicato le sedi disponibili, convoca a Roma tutti i magistrati i quali, il primo giorno, procedono tutti insieme ad una informale simulazione di “prescelta” avendo a disposizione il tempo necessario per scelte meditate che possono essere fatte solo dopo aver preso atto dei posti man mano rimasti concretamente disponibili; il giorno dopo, nella riunione formale, la chiamata secondo l’ordine di graduatoria vedrà una situazione già largamente preparata. Il Csm stanzia qualcosa in più, oltre alle spese di viaggio, per un pernottamento per i non romani, ma consentire una scelta più meditata e informata mi sembra non una concessione corporativa, ma nell’interesse collettivo per un inizio di carriera in cui il magistrato abbia, in quanto possibile, una sede che gli ponga minori difficoltà logistiche. Non dimentichiamo comunque che approssimativamente un buon terzo dei vincitori di concorso finirà per avere una scelta comunque limitata nell’ambito di sedi disagiate. Si tratta per lo più di sedi di mini- tribunali che non raggiungono mai la dimensione minima per un funzionamento efficiente e che di conseguenza vedono un continuo turn over dei magistrati. Il tribunale “sottocasa” sarebbe bello ma oggi non è più possibile e dopo la benemerita riforma “Severino” su soppressioni e accorpamenti occorrerebbe fare passi avanti piuttosto che, come si sente dire, ripristinare uffici già soppressi. Ma questo è un altro discorso… Da diversi anni il Csm convoca a Roma tutti i neo magistrati, chiamati una volta “uditori” e oggi con il brutto acronimo MOT, Magistrati Ordinari in Tirocinio. Nel primo giorno, prima della simulazione sulla “prescelta”, vi è la “cerimonia al Quirinale” che è forma, ma anche sostanza, come bene ha rilevato nel suo articolo di ieri Jacobazzi: “Un rigore formale, quindi, che vuole essere anche un monito per chi è chiamato ad esercitare funzioni giurisdizionali”. La cerimonia dura meno di un’ora, ma il discorso, tutt’altro che rituale, del Presidente Mattarella, come d’altronde quello dei suoi predecessori, è stato l’occasione per un forte richiamo ai valori e ai principi deontologici della giurisdizione diretto non solo ai 370 Mot, ma a tutti i magistrati.

Lo scorso 23 luglio la cerimonia al Quirinale il Presidente Mattarella ha proposto considerazioni importanti sulla funzione e sul ruolo della magistratura. Responsabilità per l’esercizio della funzione giurisdizionale che impone: “ anche, a garanzia dell’imparzialità, il serio rispetto della deontologia professionale e sobrietà nei comportamenti individuali”.

Dopo aver richiamato la fiducia con la quale i cittadini guardano alla magistratura “ per la tutela delle loro posizioni giuridiche” il Presidente rivolge un augurio conclusivo: “ Auguro a tutti voi di corrispondere appieno a questa fiducia, di conservare lo slancio ideale e la motivazione che vi hanno consentito di superare il concorso, arricchendoli del senso della misura e della passione e della tenacia che vi saranno necessari per affrontare le non poche difficoltà che potrete incontrare, l’impegno del prendere conoscenza e comprendere le fattispecie, la fatica del decidere. Ma avendo sempre ben presente anche il fascino del compito che la Repubblica vi affida.

Edmondo Bruti Liberati