Maria Teresa Zampogna è un avvocato. E ha difeso persone indagate e condannate per reati di mafia. Secondo Nando Dalla Chiesa e il gruppo cinquestelle del Consiglio regionale lombardo, si tratta di requisiti «incompatibili» con la nomina nel Comitato tecnico- scientifico Antimafia della stessa Regione. Ancora una volta, come scrive l’Unione Camere penali in una dura nota ( pubblicata integralmente in queste pagine, ndr) , ci si dimentica che «gli avvocati hanno il dovere di difendere chiunque si affidi a noi, senza per questo confonderci con il reato che egli ha commesso, eventualmente e come dovrà essere accertato». È la storia del linciaggio della professionista del Foro milanese e responsabile dell’Osservatorio “Doppio binario e Giusto processo” dell’Ucpi. Incarico associativo, quest’ultimo, che non è bastato a far ritenere congrua e opportuna la sua nomina, proposta da Forza Italia. Non è bastato a Nando Dalla Chiesa, professore di Sociologia del crimine della Statale, che nell’organismo avrebbe dovuto ricoprire la carica di presidente ma che venerdì scorso si è detto pronto a rinunciare all’investitura nel caso in cui arrivasse il decreto ufficiale sulla nomina di Zampogna: «Nulla di personale, ho rispetto del suo lavoro, ma si tratta di un organo antimafia, quindi con funzioni diverse», dichiara Dalla Chiesa al Corriere della Sera. La nomina della professionista, sostiene il sociologo, «collide» con la sua storia e quella di suo padre Carlo Alberto. Di fatto, Dalla Chiesa teorizza che i diritti di difesa dovrebbero restare fuori dall’attività di un organismo scientifico per lo studio della mafia.

Finora Zampogna non ha annunciato passi indietro, sostenuta dall’Ucpi e dalla Camera penale di Milano. Il suo «linciaggio» - come lo definisce la nota firmata dal presidente del Consiglio delle Camere penali Armando Veneto e dal vertice dell’Ucpi Beniamino Migliucci - deriva da alcuni incarichi professionali assunti in passato: Zampogna ha difeso l’ex manager dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco, condannato a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, il boss palermitano Salvatore Lo Piccolo e Carmine Vale, figlio di un altro capomafia, don Ciccio. Secondo chi pone il veto, difendere criminali equivale ad esserne di fatto complici, collusi. O quanto meno a guadagnare una patente di inaffidabilità. A nulla vale che la professionista in questione si occupi sul piano scientifico dei fenomeni mafiosi, con il ricordato incarico di responsabile dell’Osservatorio Ucpi, con le pubblicazioni scientifiche sul tema e con la partecipazione a innumerevoli convegni sulla criminalità organizzata al fianco di magistrati del calibro del procuratore di Palermo Franco Lo Voi. Circostanze che non trattengono la presidente della commissione consiliare Antimafia in Regione Lombardia, la cinquestelle Monica Forte dal dichiarare, in un’intervista al Fatto quotidiano di ieri: «Il Comitato tecnicoscientifico è un organo importantissimo per il lavoro della Commissione, i membri che ne fanno parte devono avere comprovata esperienza nel contrasto ai fenomeni criminali e questo non mi pare proprio il caso dell’avvocato Zampogna».

In controluce, nelle parole della consigliera, sembra scorgersi la velenosa ironia di chi considera un difensore dei mafioso come un “insider” dei criminali. La Camera penale di Milano ricorda: «Il rapporto tra il difensore e l’assistito non deve risolversi in una sovrapposizione tra le due figure o, ancor peggio, in una completa identificazione delle stesse». Nella stessa nota dei penalisti milanesi si richiama un altro aspetto decisivo: «La Carta costituzionale e l’ordinamento professionale riconoscono una funzione sociale alla figura dell’avvocato che si manifesta non solo nell’ambito del processo, ma anche nello svolgimento di incarichi pubblici che comportino, nei limiti del segreto professionale, la condivisione di competenze specifiche. Non è tollerabile, in uno Stato di diritto democratico, richiamare le esperienze professionali di un difensore per ipotizzare presunte ed inesistenti incompatibilità rispetto ad incarichi per i quali le stesse esperienze possono essere preziose». Inoltre, prosegue la nota, «è altrettanto intollerabile che, in un dibattito politico, chi dovrebbe far rispettare le garanzie costituzionali si dimentichi di principi fondamentali, incrementando, nell’ambito di una politica di populismo giudiziario, i pregiudizi rispetto alla figura del difensore, unico e vero presidio a tutela dei diritti di un ordinamento democratico».

A voler assecondare la logica della malizia e del sospetto si potrebbe anche pensare che l’al- zata di scudi di Dalla Chiesa sia dovuta proprio al timore che l’avvocato Zampogna, proprio in virtù della sua competenza, possa “mettere a rischio” la prospettiva di lavoro del Comitato tecnico- scientifico. Viene da pensarlo nel leggere quanto la professionista scrisse tre anni fa nel presentare ai colleghi l’Osservatorio Ucpi di cui è responsabile: «Ha compiti di raccordo con tutte le realtà processuali nelle diverse aree geografiche del Paese per evidenziare discrasie e tendenze del sistema in un momento di gravi tensioni nel mondo della giustizia, nel timore di una tendenza restauratrice del processo inquisitorio, soprattutto nei processi delicati come quelli di criminalità organizzata, mafiosa e/ o economica». Obiettivi che, evidentemente, devono restare fuori dalle attività della Regione Lombardia.