Poco più di un anno fa l’avvocatura ha respinto un assedio lanciato dall’Associazione nazionale dei Comuni. È riuscita a fare in modo da evitare l’approvazione in Parlamento di una norma con cui gli enti locali avrebbero potuto disporre liberamente degli avvocati pubblici, ossia di quella particolare categoria interna alla professione per la quale la stessa legge del 2012 consente il rapporto esclusivo con un datore di lavoro pubblico. Secondo l’Anci, sindaci e governatori avrebbero dovuto poter impiegare i dirigenti dei loro uffici legali nel modo più libero, anche per funzioni di coordinamento estranee alla professione forense. «Grazie alla piena convergenza tra il Cnf e l’Unione avvocati degli enti pubblici che presiedo, e grazie all’efficacia del parere espresso dallo stesso Consiglio nazionale, è emersa l’insostenibilità di quella deregulation», ricorda Antonella Trentini, che di Unaep è presidente, «avrebbe illegittimamente contraddetto, infatti, una legge di sistema qual è appunto la nostra legge professionale». Sembrerebbe un passaggio significativo solo per gli avvocati. Ma non è così. Proprio il valore della specializzazione e della competenza è la tessera perduta nel mosaico della pubblica amministrazione. Un valore il cui smarrimento contribuisce in modo probabilmente decisivo alla delegittimazione dello Stato. È forse questo il messaggio più originale trasmesso da un convegno su “Lotta alla corruzione e alle sue connessioni con la criminalità” organizzato nello scorso fine settimana a Milano proprio dall’Unaep. E la priorità assegnata dagli avvocati alla specializzazione professionale non sorprende, giacché, come spiega Trentini, «noi possiamo offrire un buon esempio, nel senso che la nostra specificità, difesa appunto anche dal recente tentativo dell’Anci, continua a fare degli avvocati pubblici un’isola felice. Anche nella recente indagine sullo stadio della Roma c’è una conversazione in cui il principale indagato, Lanzalone, dice di temere l’avvocatura del Comune in quanto scoglio difficile da aggirare. Siamo insomma la dimostrazione che competenza e professionalità sono il miglior antidoto alla corruzione». E questo in virtù di una categoria sottovalutata perché “sociologica”, eppure ritenuta decisiva dai tre saggi nominati nel 1996 da Luciano Violante per stilare il rapporto sulla “prevenzione della corruzione”, Cassese, Pizzorno e Arcidiacono: «Il prestigio e lo spirito di corpo dei dipendenti pubblici», di cui i tre studiosi lamentarono la «assenza». Nei propri interventi al convegno milanese, Trentini ha citato più volte quello studio. «La pubblica amministrazione deve ritrovare l’orgoglio», dice la presidente di Unaep, «obiettivo però difficile da cogliere, con retribuzioni troppo livellate in basso e con l’anomia delle funzioni. Serve il contrario, come è stato più volte ribadito al convegno: divisione per corpi separati, in modo che le professionalità più elevate possano essere adeguatamente retribuite, e rotazione solo tra posizioni omogenee».

L’orgoglio, d’altra parte, viene anche dal rispetto. Potrebbe essere utile, dunque, fermare l’ormai consueta delegittimazione della cosiddetta burocrazia. Certo, il rispetto per i travet ha bisogno di essere anche “incentivato”: sarebbe perciò preziosissimo quel processo virtuoso di rafforzamento delle competenze, invocato dagli avvocati pubblici e senza dubbio utile a migliorare la qualità del servizio. Ma a fare un passo dovrebbero essere anche i cittadini, che nello Stato e nella sua macchina dovrebbero sforzarsi di riconoscere la loro diretta emanazione, non un corpo di alieni. Basterebbe controllare, almeno un po’, il riflesso condizionato dell’antipolitica.