Almirante si sarà rivoltato nella tomba a vedersi strumentalizzato così, utilizzato soltanto come una cosa col solo obiettivo di nasconderne un’altra. Perché l’unica certezza che emerge dall’affaire della strada intitolata a Roma, e subito cancellata, all’ultimo capo dei fascisti italiani, è che l’affaire sia stato montato solo e soltanto per allontanare l’attenzione dall’onda melmosa che sembra stringere sempre più nel malaffare l’amministrazione romana di Virginia Raggi. Perturbazione scaccia perturbazione, deve aver pensato qualcuno. Del resto, chiunque abbia conoscenza sia pur vaga della storia italiana non poteva non sapere che il tentativo di intitolare una strada ad Almirante avrebbe provocato una bufera.

Il nuovo potere è ignorante? Ok. Ma è impossibile fino a questo punto. Non a caso l’ex sindaco di Roma Alemanno, che di esser fascista non ha mai fatto mistero, non c’ha mai provato sul serio a trovare una strada o un viottolo per Almirante, l’ex capo di Gabinetto di Mezzasoma, ministro della cultura popolare di Salò. Chi ha buttato tra i piedi dei giornali, su Fb e Twitter la notizia di una strada per Almirante a Roma, obiettivo a parte, non può non aver pensato che almeno per un po’ si sarebbe parlato di meno di campi sportivi, mazzette dirette o indirette ai nuovi padroni gialli e verdi, dei misteriosi incontri e cene tra i ( presunti) poteri di fare e disfare i governi della ( improbabile) Terza Repubblica.

Giorgio Almirante, unico e “vero capo” del Movimento sociale Italiano, il partito neofascista fondato da un gruppo di reduci nel 1946, ha attraversato gran parte della vita della Prima Repubblica con addosso due gravissimi peccati originali dai quali non ha voluto o potuto mai emendarsi fino in fondo.

Intanto, di essere un “fucilatore”, nomea che gli ambienti democratici e soprattutto la sinistra gli cucirono addosso quando alcuni storici dell’università di Pisa ritrovarono in un archivio di Massa Marittima un manifesto a sua firma che ordinava di “passare per le armi” i renitenti alla leva dell’ultimo esercito mussoliniano di Salò, cioè i ragazzi che ricevuta la chiamata alle armi di Mussolini preferivano andarsene coi partigiani.

Almirante denunciò L’Unità sostenendo che il documento pubblicato dal giornale del Pci fosse un falso. Argomentò che lui, in qualità di capo gabinetto del ministro Mezzasoma e responsabile della comunicazione ( Almirante fu giornalista a tempo pieno fino alla fine della guerra), non aveva il potere di firmarlo. Ma alla fine L’Unità, Carlo Ricchini che aveva curato lo scoop, e Luciana Castellina, direttore del Manifesto, vennero assolti: era autentico.

Almirante reagì titolando le proprie memorie “Autobiografia di un fucilatore”, con uno dei suoi gesti di esibita provocazione che l’accompagneranno tutta la vita. Ma ( avrebbero poi ricostruito in “Mal di destra” Stefano Di Michele e Alessandro Galiani, Sperling e Kupfer, 1995) si difese sempre con un: “Io però non sono mai stato un fucilatore”.

Di certo, il fascismo non lo rinnegò mai. Attento navigatore della Repubblica e profondo conoscitore delle debolezze del ceto politico ( fu deputato per 40 anni filati), si preoccupò di avvertire: “A chi mi chiede: tu sei fascista? Rrispondo per ora e per sempre: la parola fascista io ce l’ho scritta in fronte”.

La polemica esplose e infuriò nel 1971 a ridosso di un grande balzo elettorale del Msi che fece immaginare a molti una crescita impetuosa dell’estrema destra italiana come reazione alle culture del ’ 68, all’Autunno caldo, e alla nascita delle Regioni contro cui Almirante si schierò paventando lo sbriciolamento dell’Italia.

L’altro peccato originario, anche più grave, fu quello di non aver mai rigettato né ripensato la firma, nel 1938 ( quando aveva 24 anni), al Manifesto della razza. Un razzismo convinto che dal 1938 al 1942 spingerà Almirante a collaborare con “La difesa della razza”, una rivista periodica di matrice hitleriana dove il non ancora trentenne diventerà Segretario di redazione. Pagine della vita del leader neofascista che hanno sempre fatto indignare soprattutto le comunità ebraiche ogni qual volta è spuntata l’idea di una riabilitazione post- mortem attraverso l’intitolazione di targhe, piazze o strade.

Ma che ruolo ha avuto Almirante nella storia della Repubblica? E’ stato il maggiore protagonista tra quanti si son presi l’incarico di tenere vive e unite le storie e le vicende, le passioni e i rancori, le amarezze e le speranze di un pezzo ( decrescente) dell’Italia che non ha accettato lo svolgimento storico, nel mondo ancor prima che nel nostro paese, dalla fine della Seconda guerra mondiale.

E’ stato il capo indiscusso di nostalgie imbarazzanti talvolta nutrite dall’illusione di aver ancora davanti pezzi importanti di futuro. Insomma, il capo vero dei nostalgici e dei ragazzi di Salò. Un gruppo il cui rilievo politico non è mai diventato decisivo in Italia e non ha mai avuto una funzione politica determinante. Al massimo, nelle migliori contingenze, e in fasi drammatiche o comunque tese della nostra storia, ha assolto al ruolo, talvolta non secondario, di supporto a pezzi decisivi della conservazione e del potere italiani.

Accadde nel 1960 col governo Tambroni. Di nuovo a partire dall’inizio del Settanta e infine ( ma Almirante non c’era più) quando la destra venne scelta da Berlusconi, con Fini che di Almirante fu il delfino, come componente strategica dell’aggregazione maggioritaria del centro destra.

Almirante, eletto deputato fin dalla prima legislatura ( 1948) vi restò fino alla morte ( 1988). Segretario del partito neofascista ( Msi) nel 1947, fu defenestrato nel 1950. I notabili capeggiati da Michelini lo giudicavano troppo radicale e troppo compromesso col fascismo. Quindi, in qualche modo ostacolo a consentire l’espansione di una destra che, senza rinnegare il passato, potesse espandersi tra elettori moderati, benpensanti e perbene. Accadde nonostante Almirante avesse appoggiato la Dc alle elezioni comunali di Roma ( 1947) sostenendo poi in Consiglio il sindaco Rebecchini contro il candidato delle sinistre.

Insomma, fu fatto fuori dai notabili del suo partito alla ricerca di spazi di potere, anche se subalterni, concessi dalla Dc e dalle forze centriste fortemente impegnate nel tenere lontani i socialcomunisti da qualsiasi contaminazione del potere.

Nel 1969, una destra ormai ridotta ai minimi termini, richiama Almirante per salvarsi dalla scomparsa. Siamo alle prime avvisaglie della strategia della tensione e mancano sei mesi alle bombe di piazza Fontana, avvenimento decisivo della storia della Repubblica italiana. Almirante non sembra però guardare con simpatia ai radicalismi che sfoceranno nel terrorismo.

Il suo obiettivo, fin dall’inizio, è recuperare lo sconcerto dell’Italia moderata sconvolta dalle passioni e dalle radicalità dell’Autunno Cavalca l’onda emotiva del moderatismo e del perbenismo conservatore e si propone con una idea che avrà successo d’immagine e di consenso: la “piazza di destra”, come suona lo slogan che predica in tutta Italia. Una via l’altra, riassorbe perdite e miniscissioni.

Tornano all’ovile l’Ordine nuovo di Rauti e Avanguardia nazionale Europa e Lotta di popolo, gli intellettuali di destra riuniti attorno alla rivista L’Orologio. Almirante non punta al terrorismo: lancia messaggi mai chiariti su forze oscure che tentano di coinvolgere il suo partito nell’avventura terroristica e sulle “provocazioni” di poteri oscuri e servizi segreti deviati. Il suo messaggio è meno radicale ma più incisivo: la Dc non garantisce più l’Italia moderata e non riesce a contenere il fronte della sovversione. Quindi, serve la destra, unica forza di contenimento.

Sono anni duri per il paese. Il terrorismo dilaga. Le tensioni sociali si accumulano. A Reggio Calabria si registrerà il più lungo esempio di qualcosa che assomiglia alla guerriglia urbana in una grande città europea. E’ nel 1971 che dal voto regionale in Sicilia arriva il più clamoroso successo politico di Almirante: il suo partito diventa il secondo dell’isola, dopo la Dc, passando del 6,6 al 16,3 e sorpassando il Pci. A Catania il Msi è il più forte. Nelle città italiane nei cortei della destra si scandisce “Catania, Reggio a ( Roma, Milano, Genova …) sarà peggio”.

Solo molti anni dopo apprenderemo ( con la certezza del senno di poi: la più solida categoria della ricostruzione storica) che la Repubblica non è mai stata veramente in pericolo e continuava ad avere le energie necessarie per contenere tutti gli assalti.

Nell’ 84 Berlinguer muore di giugno, entra in coma appena finito un comizio. Il paese si emoziona. La sua morte diventa spettacolo e partecipazione. Davanti alle Botteghe Oscure, il mitico palazzo dei comunisti italiani, ci sarà per giorni una fila lunghissima e ininterrotta di donne e uomini che vogliono salutarlo. Dentro il palazzo a ricevere gli ospiti illustri i più prestigiosi dirigenti del Pci, da Pajetta e Napolitano, a Natta, Bufalini, Macaluso, Occhetto, D’Alema e altri ancora. Piomba nel palazzo una notizia inquietante: Almirante sta arrivando per porgere l’estremo saluto al capo dei comunisti italiani. C’è un attimo di smarrimento. Poi Pajetta prende in mano la situazione: “Sono il più vecchio, tocca a me riceverlo”. Rassicura i suoi compagni: “Vedrete che andrà tutto bene”. Quando arriva, e il vecchio capo fascista scende dall’auto ( senza scorta) c’è un leggerissimo mormorio. Ma nessuna sorpresa né alcuna protesta.

P. S. La sindaca di Roma Virginia Raggi ha smentito che verrà dedicata una strada ad Almirante. Per bloccare la decisione già presa e votata in Campidoglio ha chiesto ai consiglieri del M5S di preparare una mozione per “vietare l’intitolazione di strade ad esponenti del fascismo o persone che si siano esposte con idee antisemite o razziali”. Ovviamente, ha fatto bene.

Anche se resta il sospetto che in realtà ce l’abbia con Salvini e voglia impedire che ( tra un secolo) gli venga intitolata una strada a Roma. Soprattutto sembra preso di mira Di Maio, che con Salvini è alleato, e che ha consigliato alla sindaca di fidarsi di Luca Lanzalone, ormai ex presidente di Acea e punto di riferimento dei 5Stelle in Campidoglio, arrestato nel blitz dei giorni scorsi. Che la Raggi non voglia restare col cerino in mano dell’amicizia di Lanzalone che gli è stato e imposto da altri?