«Alcune persone portavano i loro bambini a Gesù e volevano farglieli benedire, ma i discepoli li sgridavano. Quando Gesù se ne accorse, si arrabbiò e disse ai discepoli: “ Lasciate che i bambini vengano da me; non impediteglielo, perché Dio dà il suo regno a quelli che sono come loro”» ( Matteo, 19- 13). Matteo, in questo caso, è l’evangelista, e queste righe che avete letto sono un passo molto bello del Vangelo. Però, si sa, il Vangelo non piace a tutti. E così nel programma di governo di Lega e 5Stelle, nella parte che riguarda la giustizia ( e la repressione), è previsto un trattamento molto severo verso i bambini e la riduzione dell’età nella quale si è punibili e reponsabili penalmente ( oggi è fissata a 14 anni). Ieri il programma di governo, che ora però si chiama contratto, è stato definito da Di Maio e Salvini. Sono stati superati - hanno detto i due leader - gli ultimi scogli. Nelle prossime ore dovrà essere superato anche il padre di tutti gli scogli: il nome del Presidente del Consiglio.

«Più carceri da costruire, via la sorveglianza dinamica dunque detenuti da far marcire in cella per 20 ore al giorno, meno misure alternative, abbassare l’età della imputabilità per i minori ( 12, 10 anni?), più galera ancora nel caso di furti, uso sempre legittimo delle armi per difendersi, più libertà per i poliziotti nell’uso delle pistole Taser e tante altre robacce. Contro la caduta nel baratro si sveglino le coscienze democratiche». Così tuona pubblicamente il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella riferendosi alla bozza del contratto Lega – M5S che, dopo gli ultimi ritocchi, verrà presentato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sul fronte giustizia e area penitenziaria ci sono diversi punti: la legittima difesa domiciliare, l’inasprimento delle pene per violenza sessuale, furto, scippo, rapina e truffa, nonché ' una seria riforma della prescrizione dei reati' senza tuttavia specificare come attuarle. Si parla di una stretta sulla imputabilità e sugli sconti di pena per i minori in maniera vaga e senza stabilire in che modo. Nella bozza c’è scritto testualmente: “A fronte di una progressiva precocità di comportamenti criminali, anche gravi, da parte di minori, occorre rivedere in senso restrittivo le norme che riguardano l’imputabilità, la determinazione e l’esecuzione della pena per il minorenne, eliminando inoltre la possibilità di trattamento minorile per il c. d. ‘ giovane adulto’ infra - venticinquenne”.

In che modo verranno riviste le norme? Un indizio lo ritroviamo quando scrivono che intendono rivedere “in senso restrittivo” le norme che riguardano l’imputabilità. Sottintendono quindi l’abbassamento dell’età minima di punibilità. Ma perché nel sistema della giustizia minorile esiste una soglia d’età? Se l’autore del fatto criminoso è un ragazzo che non abbia ancora compiuto il quattordicesimo anno di età, egli non potrà essere giudicato e punito. Diversa è la questione se il minore abbia un’età compresa tra i 14 e i 18 anni. Egli sarà considerato giudicabile, e il procedimento penale non avrà corso innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, ma innanzi al giudice del Tribunale per i Minorenni. Tale si- tuazione è frutto della fondamentale impostazione del nostro sistema penalistico, in forza della quale per essere considerati punibili con riguardo alla commissione di un dato fatto è necessario essere capaci di intendere e volere, ossia capaci di comprendere e volere, autodeterminandovisi, il mantenimento di una data condotta avente rilevanza penale. Il minore che abbia compiuto i quattordici anni potrà essere sottoposto a procedimento penale, ma a condizione che si sia correttamente rappresentato e abbia coscientemente voluto il comportamento penalmente rilevante per il quale subisce il giudicato. Abbassare la soglia, quindi, creerebbe un enorme problema e non servirebbe a nulla. Se ci trovassimo a discutere se un dodicenne sia in grado di intendere e volere, ovviamente la risposta sarebbe negativa.

Ma funziona attualmente la giustizia minorile? È il nostro fiore all’occhiello. Sarebbe deleterio modificarlo. Le cifre aggiornate dall’ultimo rapporto di Antigone riferiscono che nelle celle ci sono poco meno di 500 ragazzi: oltre metà di loro sono giovani adulti, cioè detenuti con meno di 25 anni che stanno scontando nelle carceri minorili le pene per reati commessi quando ancora non avevano raggiunto la maggiore età. Decisamente più ampio è invece il numero di coloro che passano per la cosiddetta “messa alla prova”, una soluzione che permette ai giudici di imporre ai ragazzi un periodo in comunità al termine del quale valutare il percorso di maturazione ed eventualmente dichiarare estinto il reato, senza lasciarne traccia sul casellario giudiziario. Nel 2016 ne hanno beneficiato oltre 3.700 giovani. Ed è lì che muovono i primi passi verso il ritorno alla normalità. Il punto del contratto leghista e pentastellato è evidentemente scaturito dall’allarmismo suscitato dai gravi fatti di cronaca: le famigerate baby gang. Eppure dai dati messi a disposizione dal Dipartimento Giustizia Minorile, i soggetti presi in carico per la prima volta dalla giustizia minorile, sono diminuiti dai 5.607 del 2017 ai 5.148 di quest’anno. La peculiarità del sistema giudiziario minorile è che non si basa sulla mera punizione. Il principio del diritto penale minorile italiano si basa perseguendo sempre il recupero del minore sia con lo strumento della sanzione che con la rinuncia ad essa. Dopo l’arresto in flagranza o il fermo di polizia, inizia a carico del minore il provvedimento giuridico.

Durante le indagini preliminari, il pubblico ministero decide se il minore debba essere rimesso subito in libertà oppure condotto in un Centro di Prima Accoglienza in cui rimane per il tempo necessario all’autorità giudiziaria per decidere della sua sorte. In caso di imputazioni lievi il minore può anche essere accompagnato presso la propria abitazione o presso Comunità pubbliche, private, associazioni o cooperative riconosciute, che lo ospitano fino all’udienza di convalida. Trascorso questo periodo preliminare, il giudice stabilisce il provvedimento da adottare che può essere: la custodia cautelare, ossia il trasferimento del minore in un Istituto penale minorile prevista per i reati con pene superiori a 9 anni, giustificata dal pericolo di inquinamento delle prove, di fuga, di reiterazione del reato; il collocamento in Comunità, cioè l’ affidamento a una comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali prescrizioni sull’attività di studio o di lavoro per la sua educazione; permanenza in casa, ovvero l’obbligo di rimanere presso l’abitazione familiare o altro luogo di privata dimora con limitazioni o divieti alle facoltà del minore di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono, salvo eccezioni come le esigenze di studio o di lavoro o altre attività educative; sospensione del processo e messa alla prova, ovvero quando il giudice richiede al servizio sociale un progetto di intervento alla fine del quale sarà tratto un bilancio. Se il Tribunale ravvisa un’evoluzione della personalità dell’imputato, dichiara con sentenza l’estinzione del reato. Perché cambiare un sistema che funziona?