Uno spettro si aggira per l’Europa. Se non è lo spettro del comunismo, come suggeriva Il Manifesto del Partito comunista, lo è però il suo autore. Marx dopo Marx. Non è questa l’occasione per una riflessione su Marx e i marxismi tra teoria e storia. Ma qualsiasi pensiero sul grande vecchio non può che partire da una constatazione gigantesca. Un intero secolo, il 900, è stato caratterizzato da ciò che Louis Althusser ha chiamato “l’unione del movimento operaio e della teoria marxista”, “la fusione” secondo Lenin.

Se ci sono tanti Marx in uno, quell’uno, allora, può essere definito il teorico della Rivoluzione. Credo si possa dire che il suo stesso lavoro teorico di critica della società fondata sulla generalizzazione della produzione per il mercato è preparatoria alla messa in evidenza, in essa, del suo becchino ed erede, il proletariato. La critica di Marx al modo di produzione capitalistico, al cui centro c’è lo sfruttamento e l’alienazione del lavoro salariato, non avrebbe segnato la storia della lotta di classe senza l’individuazione, in esso e contro di esso, del soggetto della trasformazione e senza la messa in luce della leva che fa la storia. L’apertura del Manifesto è rivelatrice: «La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi… Una lotta che finì sempre con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società con la rovina comune delle classi in lotta». Altro che determinismo! Nella lotta per la liberazione dell’uomo si vince e si perde, drammaticamente. Nella storia reale, nel conflitto questo è ciò che accade.

Dopo il crollo dei regimi post- rivoluzionari dell’Est e la sconfitta del movimento operaio a Ovest, dopo l’avvento del vincitore della contesa, il nuovo capitalismo, Marx è stato dato per morto e sepolto. Ma proprio la nuova realtà capitalistica (la globalizzazione capitalistica e la sua crisi) ha falsificato la tesi. Il pensiero economico egemone non riesce a padroneggiare la crisi. Ritorna perciò sulla scena il capitalismo come problema e questo non si può affrontare senza Marx. Il campo delle idee ne vede una conferma clamorosa.In Germania in un anno si è venduta l’opera di Marx quanto la Bibbia. In questi ultimi mesi si è accorsi nelle sale cinematografiche a vedere un film sulla sua vita.

Ma più significativamente, in questi ultimi anni, è nato e si è affermato un fenomeno culturale che ha invaso il mondo degli studi, si è chiamato “Marx renaissance”. Esso vede la produzione, la pubblicazione e la diffusione di un amplissimo materiale di ricerca e di pensiero critico tra teoria e storia, indagando Marx e i marxismi. L’onda partita nelle università ha investito persino un luogo come la Biennale di Venezia e l’arte del nostro tempo. C’è chi limita il senso politico della “Marx renaissance” sostenendo che si tratta di un’operazione essenzialmente filologica.

Non credo che il fenomeno possa essere rinchiuso solo in questa dimensione. Ma questo ci dice anche altro. È stato detto autorevolmente che il marxismo, se ha un valore conoscitivo, è perché si situa su un complesso di forme concrete ( da quelle storico politiche a quelle più legate alla critica dell’economia politica). È la grande questione del rapporto tra teoria e prassi nella trasformazione. Marx aveva provato a indicare la via per rovesciare un mondo, che sembra camminare sulla testa, e rimetterlo sui piedi. Anche il compito della filosofia veniva così ridefinito al fine di trasformare la società. Basti una celebre frase dell’Ideologia tedesca per darci conto della radicalità della rottura marxiana e della natura della fondazione in essa della rivoluzione. «L’esistenza di un’idea rivoluzionaria in una determinata epoca presuppone già l’esistenza di una classe rivoluzionaria». È il Marx che entra direttamente nella lotta di classe e i termini che vi introduce diventeranno la lingua stessa di quest’ultima: modo di produzione, rapporti di produzione, forze produttive, classi sociali, ideologia dominante, lotta di classe.

E ora? Il fantasma è qui tra noi e ci obbliga a considerare quel gigantesco problema per l’umanità che ancora si chiama capitalismo. Ci dice che non si può farlo senza di lui, ma ci dice, contemporaneamente, che egli va oltrepassato perché il teorico della rivoluzione possa vivere in un altro corpo. Es- so può vivere davvero, infatti, solo nell’attualità del comunismo, del movimento che abbatte l’ordine delle cose esistenti quale che sia l’interpretazione che si voglia dare alla teoria del valore. Non è un caso che da noi la grande faccia di Marx sia apparsa così per l’ultima volta, in una gigantografia sulla porta della Fiat di Mirafiori durante i 35 giorni della dura lotta operaia. È la chiusura di un ciclo che, aperto dal ’ 68-’ 69 dall’irruzione sulla scena di un nuovo soggetto sociale, aveva riproposto l’attualità dell’una, la trasformazione, attraverso il livello del conflitto, e dell’altro, il pensiero rivoluzionario. Quel ciclo concludeva a sua volta il secolo che, avviato dalla vittoriosa rivoluzione bolscevica del ’ 17 in Russia, aveva vissuto guerre e rivoluzioni sotto il segno del movimento operaio e della sua alleanza con la teoria marxista. Era, quella avviata dal biennio rosso, una fine e avrebbe potuto essere un nuovo inizio. Nella lotta di classe si può vincere e perdere. Credo sia utile per l’oggi e per il domani ricordare che lo straordinario ritorno di un nuovo Marx connotò di sé, in quel biennio, l’avvio di un nuovo e diverso conflitto sociale. Ancora una volta si era affacciato, nella storia, l’imprevisto.

Un’opera di Marx fino ad allora sconosciuta, i Grundrisse, ne aveva rinnovato dagli inizi degli anni 60 la lettura e l’aveva riconnessa con la concreta lotta di classe. È il 1964 quando Raniero Panzieri pubblica sui Quaderni Rossi “Il frammento sulle macchine”. È forse quella l’ultima stagione in cui Marx riguadagna l’attualità, tanto che con il pensiero entrano in contatto tutti i nuovi marxsismi eretici, tutte le nuove prassi critiche da quella di Francoforte, a Foucault, a Marcuse. Due lezioni di questo passato che ci hanno riportato a Marx ci conducono anche ora a immaginare chissà quanti possibili suoi ritorni. La prima è che con i Grundrisse l’analisi teorica è diventata essa stessa costitutiva delle pratiche rivoluzionarie. La seconda risiede direttamente nel corpo del pensiero di Marx che porta al cuore della rivoluzione capitalistica. Vediamo, solo per fare un esempio, come Marx legge le metamorfosi che la sussunzione del lavoro nel processo di produzione del capitale realizza: «Un SISTEMA AUTOMATICO di macchinari … azionato da un automa, forza motrice che muove se stessa; questo automa è costituito da numerosi organi meccanici e intellettuali, cosicchè gli operai stessi sono determinati soltanto come sue braccia coscienti».

Marx continua a parlarci del “lavoro astratto” e del lavoro vivo, dello sfruttamento e dell’alienazione del lavoro proprio dentro la rivoluzione capitalistica in corso. La scienza, la tecnica, l’algoritmo e l’intelligenza artificiale ci stanno conducendo al sistema artificiale, ci stanno conducendo al sistema automatico di macchinari nel governo pieno, per quanto precario e a rischio persino di autodistruzione, del capitale. Cosa resta fuori? Cos’è oggi il “residuo”? Da quali ordini di contraddizioni può rinascere, se può rinascere, la lotta per la liberazione del e dal lavoro salariato? E chi è il soggetto della critica e della nuova e inedita lotta di classe? Da qui la necessità di Marx e, insieme, del suo oltrepassamento. Senza di lui si finirebbe per essere solo dei gattini ciechi. Ma Marx non basta né a formare il pensiero critico del nuovo capitalismo né a scorgere ormai il nuovo ( plurale) soggetto della liberazione. Non è un caso tuttavia che ogni ritualizzazione della grande questione ( critica e soggetto della lotta di classe) ha visto i nuovi protagonisti ricorrere a un’eredità del Marx politico, l’inchiesta operaia.

La ragione c’è. Il fantasma vorrebbe che non ci distraessimo proprio, così da poter ritornare tra noi. La consegna è tanto semplice quanto enorme e l’egualianza è la meta e con essa la liberazione dell’uomo da ogni forma di alienazione. Se dovessi dire perché Marx, direi perché ci ha detto che la liberazione dei lavoratori e delle lavoratrici non può che essere opera dei lavoratori stessi. Ieri, come oggi, come domani, ma mai allo stesso modo e mai con la sicurezza di vincere. Piuttosto andando, quando accade, verso un aut- aut. Ha scritto Franco Rodano che, con la categoria della rivoluzione, la politica ha raggiunto il suo punto più alto. Ma con la lettura proposta da Marx si può dire che la rivoluzione ha proposto, nello stesso tempo, la critica più radicale alla separatezza della politica. Karl Marx, lunga vita, allora.

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