«Questa è la casa dell’avvocatura italiana ed è anche la vostra casa». Il saluto di Andrea Mascherin, presidente del Consiglio nazionale forense ai colleghi turchi Ugur Tok e Ali Yildiz racchiude in una frase tutto lo spirito del plenum organizzato dal Cnf. Yldiz, membro dell’Ordine di Ankara è attualmente rifugiato politico in Belgio: «Se tornassi in Turchia rischierei l’ergastolo», racconta amareggiato. Tok invece è Direttore della Piattaforma per la pace e la giustizia, un’organizzazione in prima linea nella tutela dei diritti umani con sede in Belgio; entrambi fanno parte dell’iniziativa The Arrested lawyers initiative, un’associazione di avvocati in esilio che lotta per il ripristino della democrazia in Turchia.

Dopo il fallito Golpe del luglio 2016, il presidente Erdogan ha di fatto sospeso lo Stato di diritto nel suo paese, azzerando l’opposizione politica, arrestando decine di migliaia di persone, chiudendo decine di giornali e media ritenuti ostili, licenziando funzionari pubblici, membri dell’esercito, accademici, intellettuali critici, stilando interminabili liste di proscrizione che hanno fatto scendere una cappa lugubre sulla società turca.

Nel mirino oltre agli avvocati, i membri della magistratura, dell’esercito, della polizia, insegnanti universitari, persino maestri elementari che non si capisce quale relazione possano mai avere con un colpo di Stato. Le accuse sempre le stesse, quelle vaghe e aleatorie di «terrorismo» e «sedizione» o del loro favoreggiamento. Molto spesso il regime utilizza la delazione come strumento di “pulizia etnica”, promettendo ascesa sociale e professionale ai lavoratori che denunciano i colleghi, che si tratti di giudici, insegnanti o esponenti delle professioni liberali. Le dimensioni della repressione messa in atto dal sultano di Ankara sono palpabili dalle cifre, fredde e spietate che Tok snocciola quasi con aria rassegnata: «Dall’inizio delle purghe sono stati denunciati 1539 avvocati, 580 li hanno arrestati e 103 sono stati condannati, hanno allontanato 4463 giudici, uno su quattro, arrestandone 350, hanno chiuso 189 strutture di informazione, 45 giornali cartacei e 16 canali televisivi, hanno messo fuorilegge 34 associazioni di avvocati, hanno licenziato oltre 150mila persone, hanno fat- to chiudere 120 grandi compagnie private, hanno confiscato rubato 50 miliardi di dollari in beni confiscati, mentre, è bene ricordarlo, ci sono più giornalisti in galera in Turchia che nel resto del mondo». In totale ci sono oltre 40mila detenuti nelle prigioni turche per motivi legati al tentato golpe di due anni fa.

Ali Yildiz ha avuto più fortuna di altri colleghi, è riuscito a scappare dal paese prima che le squadracce di Erdogan lo arrestassero e lo ha fatto assieme al fratello, mentre la moglie, magistrata ad Ankara, ha perso il posto di lavoro e dopo un breve arresto, ora è libera ma con il divieto di lasciare la Turchia. Ora dal Belgio cerca di percorrere l’unica strada possibile per arginare la deriva dispotica che sta colpendo il suo paese, rivolgendosi alle istituzioni internazionali, denunciando lo sfacciato attacco alla democrazia. Ma non si tratta di una strada semplice. Ad esempio sono stati presentati 27mila ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma non possono essere presi in considerazione in quanto dovrebbero in prima istanza essere presentati a un corte turca, cosa che per evidenti motivi è impossibile. Mentre l’Onu, come ricorda Tok: «ci sostiene ed è solidale, ma oltre a scrivere rapporti non ha molto potere nelle nostre questioni interne».

E di fronte all’impasse di una comunità internazionale che da un lato s’indigna, ma dall’altro accoglie Erdogan nel suo salotto buono, Tok sottolinea che mai come oggi la società civile turca ha avuto bisogno di appoggio esterno: «Non siamo mai stati una democrazia compiuta, tuttavia prima della svolta del 2016 esisteva un pluralismo dell’informazione, un’opposizione politica e la giustizia funzionava in modo più o meno imparziale, ora la situazione è terribile. Erdogan ha anticipato le elezioni a giugno per consolidare il suo potere e non c’è nessuno speranza che possa perderle. Abbiamo bisogno di aiuto».