Vale ribadirlo: anche se lo fa con modalità «anomale», l’avvocato che suggerisce al proprio assistito di avvalersi della facoltà di non rispondere non commette il reato di infedele patrocinio. A chiudere definitivamente la vicenda che ha portato davanti ai giudici due avvocati di Udine è una sentenza della Corte di Cassazione, che stabilisce nuovamente uno dei principi cardine del diritto alla difesa e rigetta il ricorso della Procura contro la decisione del Tribunale di annullare il provvedimento di autorizzazione alla perquisizione negli studi professionali dei legali.

Ripercorrendo i fatti, la vicenda risale al 2017 e vede coinvolti due avvocati: uno difende il marito accusato di maltrattamenti domestici e uno la moglie maltrattata. Sentita a sommarie informazioni, la donna in un primo momento conferma i maltrattamenti, successivamente però ritratta le accuse e, in conseguenza di questo, viene iscritta al registro delle notizie di reato per favoreggiamento personale. Quando poi la donna viene interrogata dal sostituto procuratore, si avvale della facoltà di non rispondere. Fin qui nulla che sia fuori dalla norma di normali vicende penali.

Se non che, dalle intercettazioni telefoniche disposte nei confronti del marito, emerge che l’uomo ha contattato la moglie prima dell’interrogatorio e le ha detto che i loro due avvocati si sono incontrati e accordati perché lei non risponda alle domande, come da lei poi effettivamente fatto davanti al magistra- to. Sulla base di questa conversazione, il pm indaga entrambi i difensori per infedele patrocinio e dispone la perquisizione dei rispettivi studi con il sequestro di documenti e computer. Il provvedimento del Gip viene poi annullato dal Tribunale di Udine e proprio questa decisione è oggetto di impugnazione in Cassazione.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha escluso in modo netto che il suggerimento di esercitare la facoltà di non rispondere possa integrare in capo al difensore il reato di infedele patrocinio: «I suggerimenti dati dal patrono all’indagata si riducano ad una sollecitazione a non rispondere alle domande dell’organo dell’accusa, id est a tenere una condotta processuale perfettamente in linea con il diritto di difesa, che vede nell’esercizio della facoltà di non rispondere un’espressione del principio del nemo teneur se detergere, insuscettibile di per sé - in quanto costituente appunto esplicazione dello ius defendendi costituzionalmente garantito dall’art. 24 della Carta Fondamentale - di recare un qualunque danno, economico o processuale, alla patrocinata».

Come ricostruisce la sentenza, infatti, quello di infedele patrocinio è un reato proprio che può essere commesso unicamente dal difensore e dal consulente tecnico, nel caso in cui vengano meno ai loro doveri professionali e danneggino così gli interessi della parte difesa. Il reato, infatti, ha natura plurioffensiva: da una parte la lesione dell’amministrazione della giustizia che impone il rispetto dei principi di correttezza e lealtà; dall’altra la realizzazione di un evento che provochi danno concreto agli interessi della parte.

Tornando al caso di specie, la Corte sottolinea come «il nocumento agli interessi della parte può sostanziarsi in un pregiudizio di natura processuale» ma, ancorché fatto in modo «anomalo», il suggerimento di avvalersi della facoltà di non rispondere non può arrecare alcun danno perché si tratta di una condotta processuale perfettamente in linea col diritto di difesa e dunque «non realizza un nocumento agli interessi della patrocinata».

Quanto all’anomalia nella comunicazione, la Cassazione si sofferma sul fatto che «il suggerimento non si è tradotto in una contrarietà ai doveri difensivi, e ciò avendo riguardo tanto alle disposizioni che regolano il nostro processo penale, quanto alla deontologia professionale», sebbene le modalità con le quali è stato svolto il patrocinio siano «censurabili» e le indicazioni siano state «impropriamente veicolate».

La sentenza chiude così una vicenda che ha chiamato contingentemente in causa due professionisti, ma che afferisce in modo diretto alle modalità dell’esercizio del diritto di difesa: ovvero che possa esistere una situazione in cui avvalersi della facoltà di non rispondere possa nuocere al patrocinato e, dunque, che tale suggerimento possa integrare un reato da parte del difensore. Entrambe ipotesi vigorosamente scartate dai giudici.