Una guerra piddina tra le diversa anime toscane, una faida tutta interna al partito del Nazareno. Sarebbe questa la causa scatenante dell’affaire Consip, lo scandaolo che ha coinvolto il renzianissimo ministro Lotti, oltre a Tiziano Renzi ( padre dell’ex premier) e pezzi di forze dell’ordine e servizi segreti. Dietro la vicenda, dunque, si profila una vera e propria vendetta contro il “Giglio magico”. Un’ipotesi avanzata proprio dal ministro dello Sport Luca Lotti nel corso del drammatico confronto “all’americana” con Marroni voluto dalla Procura di Roma la scorsa settimana.Nel dicembre 2016, interrogato perché aveva fatto “bonificare” il proprio ufficio, Marroni riferì al pm napoletano Henry John Woodcock e ai carabinieri del Noe che indagavano su un presunto giro di tangenti legato agli appalti Consip, di aver ricevuto ben quattro “soffiate” sull’indagine in corso e sul fatto che fossero in atto intercettazioni telefoniche e piazzate microspie nei suoi uffici. Spiegò di averlo saputo parlando con Lotti, con il generale dei carabinieri della Toscana Emanuele Saltalamacchia, con il presidente della municipalizzata fiorentina Publiacqua Filippo Vannoni, e con il presidente di Consip Luigi Ferrara a sua volta informato dall’allora comandante dell’Arma Tullio Del Sette. I quattro, indagati per rivelazione del segreto d’ ufficio e favoreggiamento, nei vari interrogatori a cui sono stati sottoposti in questi mesi hanno sempre negato tutto. Il fascicolo, inizialmente aperto dalla Procura di Napoli, è stato poi trasferito a Roma.

In particolar modo l’altro giorno, Lotti, oltre ad aver ribadito di non sapere «nulla» dell’inchiesta Consip, avrebbe accusato Marroni di volersi «vendicare pensando che non ti volevo visto che sei legato al governatore Enrico Rossi». Il sessantenne ingegnere senese, prima di essere nominato dal Governo Renzi nel giugno del 2015 amministratore delegato di Consip, è stato in effetti per anni fra i più stretti collaboratori del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi.

Dopo aver ricoperto per quasi dieci anni la carica di direttore generale dell’Asl di Firenze, nel 2012 venne nominato proprio da Rossi assessore alla Salute della Regione Toscana. Nel febbraio del 2016, in aperto contrasto con l’allora segretario Matteo Renzi, Rossi annunciò di volersi candidare alla segreteria nazionale del Pd. L’anno successivo la rottura definitiva con Renzi e la scissione dal Pd insieme alla minoranza di sinistra composta fra gli altri da Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Vasco Errani, Roberto Speranza, per dar vita ad Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista.

Marroni venne licenziato nel giugno dello scorso anno. «Da allora sono un disoccupato senza sussidi, eppure i risultati di Consip sotto di me sono stati eccellenti», dichiarò in una intervista Marroni, aggiungendo di aver fatto an- che «la famosa gara delle siringhe» ( un bando nazionale che ha fatto risparmiare allo Stato 132 milioni di euro, ndr).

«Per me è difficilissimo ricollocarmi, praticamente impossibile», ha proseguito Marroni, ribadendo di essere solo un testimone in questa vicenda.

L’aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi, titolari del fascicolo sulla fuga di notizie dell’inchiesta Consip, hanno chiesto ed ottenuto una proroga d’indagine fino al prossimo giugno. Entro quella data si dovrà accertare se Marroni abbia detto la verità o abbia mentito. E in caso la risposta sia affermativa, cosa lo abbia spinto al falso, se la “vendetta” o altro.

Su questo il legale di Marroni, l’ avvocato Luigi Li Gotti ha però le idee chiare: «Il tentativo di far passare l’ ingegnere quale persona mendace, è radicalmente fallito. Marroni ha confermato, nel corso del confronto con Lotti quanto già dichiarato all’Autorità giudiziaria». Nessuna marcia indietro, nessuna ritrattazione. L’ex ad di Consip è dunque pronto a tutto pur di dimostrare la correttezza del proprio operato e la sua assoluta buona fede. Dopo Lotti, nelle prossime settimane toccherà a Saltalamacchia e Del Sette dare la propria versione dei fatti