Lega- Movimento 5 Stelle al momento è la combinazione più probabile, certo. Ma davvero quella giallo- verde è l’unica maggioranza possibile in Parlamento? E con quale leadership? In realtà, dietro le apparenze emotive, derivanti dall’intesa su Camera e Senato le possibilità di incastri tra partiti sono molto più variegate e molto meno scontate.

Partiamo dall’ipotesi più scontata: l’abbraccio tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Dopo il riconoscimento reciproco, negli ultimi giorni il leader del Carroccio ha spalancato le porte ai grillini dicendosi persino disponibile a fare un passo indietro in nome del bene del Paese. Ma nel caso in cui il capo della Lega entrasse in un esecutivo coi Cinquestelle, più che di una “disponibilità” a rinunciare alla premiership saremmo davanti a una scelta obbligata: il potere contrattuale del Matteo venuto dal Nord, infatti, sarebbe ridotto all’osso. Il Carroccio porterebbe in dote una pattuglia parlamentare equivalente alla metà degli uomini appartenenti all’esercito pentastellato. Salvini potrebbe chiedere per sé il prestigiosissimo ministero dell’Interno, ma la poltrona più importante toccherebbe a Di Maio. «A queste elezioni i cittadini hanno partecipato con entusiasmo e, quindi, va data una risposta e questa risposta secondo noi non può prescindere dalla presenza di Luigi Di Maio come candidato premier», ha ripetuto ieri il ministro della Giustizia “designato” Alfonso Bonafede. Ma in politica nulla può essere escluso, neanche che l’intesa tra le due organizzazioni fondi il proprio equilibrio su un su un punto: nessuno dei due leader a Palazzo Chigi. In questo caso sarebbe necessario tro- vare un nome di garanzia per tutti, un papa straniero lontano dalle dinamiche di partito. Il nome più gettonato è quello di Carlo Cottarelli, l’ex commissario alla spending review nominato da Enrico Letta. Il profilo da fustigatore dello spreco ben si addice alla retorica anticasta grillina recentemente sposata anche dalla Lega. Sarebbe un perfetto candidato di bandiera se non fosse che Cottarelli è anche l’uomo del rigore, dell’austerity, poco incline all’idea di sforare il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/ pil, uno degli argomenti chiave della campagna elettorale di entrambi i partiti.

Lo scenario però cambierebbe radicalmente se Salvini non rinunciasse a guidare il centrodestra e conducesse le trattative con Di Maio forte del sostegno di Silvio Berlusconi. Ieri il capo della Lega è stato chiaro: «Senza Forza Italia non se ne fa niente». Ma in questo caso i rapporti di forza sarebbero sbilanciati sulla coalizione più votata il 4 marzo. La difficoltà maggiore sarebbe far digerire al M5S la presenza diel nemico di sempre all’interno della stessa maggioranza di governo. Sulla carta è un’impresa ardua, ma sulla carta, fino a poche settimane fa, sarebbe apparso impossibile qualsiasi alleanza tra i grillini e un qualsiasi altro partito. Meglio non porre limiti alla mediazione. Il Cavaliere non vuole rinunciare a giocare un ruolo e farà di tutto per restare in partita. In questa prospettiva c’è un nome destinato a occupare una casella chiave di un eventuale esecutivo: Giulio Tremonti, garante per Carroccio e Forza Italia, fuori dagli intrighi di governo da abbastanza tempo per non turbare troppo neanche al Movimento 5 Stelle. Se non presidente del Consiglio, Tremonti viene indicato come possibile ministro dell’Economia, la vetrina più importante da mostrare all’Europa. Per Palazzo Chigi ci pensa il democristiano irriducibile e parlamentare azzurro Gianfranco Rotondi a suggerire qualcuno: «Se si cerca un terzo nome per unire Salvini e Di Maio sia chiaro che a noi Vincenzo Scotti va benissimo», twitta, riferendosi all’ex ministro Dc che tanto ha contribuito alla formazione della squadra di governo indicata da Di Maio prima del voto.

Ma c’è anche un’ipotesi remotissima che il M5S riesca ad aprire il dialogo a sinistra, col Partito democratico. Al momento tra i due gruppi è calato il gelo e in pochi scommetterebbero su sviluppi imprevisti. Eppure, da qui alla nascita di un nuovo governo potranno accadere ancora colpi di scena. Soprattutto perché a breve salirà sul palco l’attore più importante: Sergio Mattarella. In molti ritengono che il Presidente della Repubblica eserciterà pressioni sui dem per convincerli a rinunciare all’opposizione senza se e senza ma, facendo attenzione però a non alterare il fragilissimo equilibrio interno su cui ancora si regge l’unità del Pd. L’obiettivo sarebbe persuadere l’ex partito di maggioranza a non tenere un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti di Di Maio & Co, garantendo magari un sostegno esterno subordinato all’approvazione di alcuni punti programmatici.

Una trama da missione impossibile, ma le strade del Colle sono infinite.