Il 22 marzo di ogni anno è la giornata che ci ricorda la centralità dell’acqua nella vita di ogni uomo e di ogni essere vivente. Ci ricorda il rispetto col quale dobbiamo trattare i fiumi, i laghi, i ghiacciai, le falde idriche, il loro diritto ad esistere a dispetto della tendenza dell’uomo a sottomettere ogni elemento della natura. Scelte disastrose che provocano sofferenza diffusa. L’impatto dei cambiamenti climatici non può indurci a trascurare che le carenze idriche sono anche il frutto di decisioni scellerate dell’uomo. Le guerre intaccano le fonti d’acqua, le riserve, le reti idriche, i sistemi fognari e di depurazione. Le bombe distruggono intere città e le opere di urbanizzazione, che garantivano la vita della comunità. Chi fa la guerra talvolta programma la distruzione delle fonti, dei sistemi di approvvigionamento, poiché assetare i popoli per sopraffarli rientra nelle strategie belliche. Ma anche in un mondo di pace l’acqua può scarseggiare. La scelta di condizionare il riconoscimento del diritto all’acqua alle regole del mercato, porta all’autodistruzione dell’uomo non prima di una lunga agonia per sete di buona parte della popolazione mondiale. Gas e idrocarburi recuperati con lavorazioni idrovore e inquinanti pregiudicano vaste aree del pianeta. La costruzione di gigantesche dighe garantisce produzione energetica a monte e scarsità a valle. Attività industriali ad alto impatto ambientale, che inquinano le falde, non potranno mai rimediare col danaro al danno che provocano alle acque. Un’inversione di tendenza è necessaria, ma non ve n’è traccia significativa. V’è interesse di alcuni gruppi di potere a perseverare. I grandi speculatori puntano ad arricchirsi grazie alla rarefazione dei beni essenziali per la vita. Minore è la disponibilità, maggiore è il valore economico che acquistano e con esso il margine di profitto che la scarsità genera. Le istituzioni internazionali e nazionali impegnate nel riconoscimento del diritto all’acqua, nell’assunzione delle decisioni sul governo globale della risorsa, per fare ciò che è giusto, per scrivere le regole, devono confrontarsi e avere quali interlocutori principali gli abitanti del pianeta. “Una produzione normativa chiara, che guardi oltre, che si ponga a garanzia di una visione ecosistemica, deve fondarsi sulle antiche conoscenze, tradotte sino all’attualità dalle popolazioni indigene, piuttosto che sulle esperienze maturate dai Movimenti popolari”, afferma l’avvocato Andrea Mascherin presidente del Consiglio nazionale forense.

Le Nazioni Unite partecipano all’evento di questi giorni a Brasilia organizzato dal World Water Council, l’aggregazione nella quale la voce più forte e più incisiva è quella delle Corporation. E lì decidono le politiche mondiali. V’è una ricerca continua di un punto di equilibrio tra la sopravvivenza di almeno una parte della popolazione mondiale e il profitto delle multinazionali. In sostanza, la rinuncia alla vita di una parte degli esseri viventi del pianeta, pur di garantire gli affari di un’élite. I Movimenti popolari, dal canto loro, chiedono con forza un’azione tangibile a tutela del diritto all’acqua, del diritto alla vita. La dichiarazione delle Nazioni Unite adottata nel luglio del 2000 deve trovare un riconoscimento concreto in atti, che puntino a rivedere complessivamente il modello di sviluppo in campo. La ricerca di una soluzione deve indurre a una riprogrammazione strutturale e permanente, che metta al centro la vita, gli ecosistemi e le genera- zioni future.

Un pensiero emerso con forza negli atti del Consiglio nazionale forense, che nel 2017 in occasione del G7 ha espresso la propria posizione assumendo che “il carico antropico crescente, l’impatto dell’azione umana sul pianeta e l’ipersfruttamento delle risorse impongono una riflessione sulla compatibilità delle soluzioni adottate sino ad ora con la sopravvivenza della specie umana sul pianeta. La difesa dei diritti dell’uomo è divenuta, nella modernità, la difesa dei diritti della natura”.

In tal senso va anche il rapporto 2018 del Wwap ( World Water Assesment Program of UN) centrato sulle “soluzioni basate sulla natura per la gestione dell’acqua”. Una riflessione che bisogna ancora radicare nella cultura globale. Si registrano, infatti, progressi a livello planetario, un impegno concreto ad andare nella giusta direzione, ma gli investimenti non superano l’ 1% del totale.

MASCHERIN ( CNF) AL G7: «IL PIANETÀ SOPPORTERÀ L’UOMO SE L’UOMO RINUNCERÀ A DOMINARLO»

Ancora troppo poco, se consideriamo che il maggiore sforzo viene profuso nella realizzazione delle cosiddette infrastrutture grigie, grandi opere e cemento. Eppure le ricadute positive delle Nbs ( l’acronimo di Nature Based Solutions) sarebbero rilevanti, poiché inciderebbero sulla disponibilità e la qualità delle risorse idriche, “sulla sicurezza alimentare e l’agricoltura, la biodiversità, l’ambiente, la riduzione del rischio di disastri naturali, gli insediamenti urbani e i cambiamenti climatici”. ( cfr. Wwap Report 2018).

Una svolta epocale, che può stravolgere radicalmente il modo di proporre soluzioni, che pone in campo nuovi interlocutori e i valori di cui sono portatori. Una nuova visione per una nuova generazione di diritti nella quale gli elementi della natura sono soggetti del diritto e non semplicemente risorse al servizio dell’uomo. “Il pianeta sopporterà l’uomo se l’uomo sopporterà di rinunciare alla propria supremazia sull’ambiente” assume Mascherin.

DA PECORARO SCANIO L’IDEA DI CREARE UN MINISTERO DELL’ACQUA IN OGNI PAESE

Da qui il ruolo centrale dei governi, la cui azione politica dovrà essere orientata in via prioritaria alla rielaborazione, alla tutela, all’applicazione e al riconoscimento dei diritti. “È necessaria una nuova politica”, dichiara Alfonso Pecoraro Scanio, già ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura in Italia, che propone una soluzione: l’istituzione di un ministero dell’Acqua in ogni Paese del pianeta. La ricetta prevede “un rapporto diretto con le popolazioni, un processo di partecipazione democratica alle decisioni relative alla preziosa risorsa e la capacità di orientare gli investimenti pubblici nell’interesse delle comunità”. “I cambiamenti climatici possono avere un impatto devastante per l’uomo, per l’acqua e per la natura”, dice Pecoraro Scanio, “è possibile affrontarli e ridimensionarne gli affetti prendendoci cura del pianeta e degli individui che lo popolano”.

Attualmente la domanda globale di acqua ha raggiunto circa 4.600 chilometri cubi all’anno, ed entro il 2050 dovrebbe attestarsi intorno a 5.600- 6.000 chilometri cubi, con un aumento del 20- 30%. La popolazione passerà dagli attuali 7.7 miliardi d’individui a circa 10 miliardi, e oltre la metà vivrà in una condizione di potenziale scarsità idrica. La rarefazione del bene al quale nessun individuo può rinunciare, può generare conflitti. Gli attuali consumi d’acqua sono già vicini al livello massimo sostenibile. L’incremento delle necessità può essere gestito individuando soluzioni che non guardino al profitto, ma all’uomo e alla natura. L’approccio corrente va superato.

A partire dagli anni 90, a causa degli interventi dell’uomo, i livelli d’inquinamento dell’acqua si sono aggravati in quasi tutti i fiumi in Africa, America latina e Asia. Secondo le previsioni, il deterioramento tende a peggiorare, con pregiudizio per la salute e l’ambiente. È lo stato degli ecosistemi una delle maggiori cause dei problemi nelle gestioni idriche. In tutto il mondo circa il 30% delle terre è ricoperto da foreste, ma preoccupa il degrado in cui versano i due terzi di esse. L’impatto sul ciclo dell’acqua è conseguenziale, poiché si elevano i tassi di evaporazione e aumenta il deflusso superficiale, mentre diminuisce la capacità di stoccaggio del suolo. Si calcola che dal 1900, a causa dell’intervento poco ponderato dell’uomo, siano andate perse fino al 71% delle zone umide naturali. Dinamiche poco accorte hanno già prodotto nel passato la scomparsa di interi sistemi sociali. I Sumeri ( 4000 a. C.) grandi esperti nell’irreggimentazione delle acque, utilizzarono le loro straordinarie capacità per sviluppare le coltivazioni agricole, creare benessere diffuso e costruire le prime città ( cfr. The collapse of complex societies, Joseph Tainter – Cambridge). La volontà di favorire un sempre maggiore sviluppo economico e di accrescere la forza politica delle Città- Stato condizionò oltremodo le scelte dei tecnici. Ed ebbero l’effetto opposto, fino a provocare il collasso dell’antica civiltà. Il fenomeno si sta riproponendo, ma su scala globale. Le conseguenze delle scelte errate avranno una dimensione mondiale nell’ipotesi in cui non ci si affretti a porre rimedio. Lo confermano le recenti analisi sullo sviluppo urbano pubblicate dalla rivista Nature, laddove emerge con chiarezza come l’incremento della popolazione delle grandi città del pianeta non è compatibile con le disponibilità idriche, e parte dei cittadini resterà senz’acqua.

“Nei centri urbani dei Paesi in via di sviluppo, il numero degli abitanti esposti a una carenza idrica prolungata aumenterà di sette volte, passando dagli attuali 150 milioni di cittadini, che faticano ad avere accesso all’acqua per alimentazione e igiene, fino a oltre un miliardo” ( cfr.

Water Grabbing – Iannelli/ Bonpan, ed. EMI 2018). “Secondo le Nazioni Unite, il 47% vivrà entro il 2030 in aree a elevato stress idrico, con una conseguente competizione sia intraurbana, sia intraregionale, sia internazionale per ottenere il controllo sulla risorsa”. L’aumento della popolazione metterà sotto stress idrico le megalopoli e le grandi aree urbane; i governi locali devono guardare lontano e assumersi la responsabilità di iniziative che possano invertire la tendenza, generando soluzioni strutturali che ridimensionino la capacità attrattiva del grande centro.

Diverso è il caso delle città che dipendono da fonti e bacini lontani. In alcuni casi le fonti sono transfrontaliere e la gestione delle risorse idriche è condizionata o condiziona i rapporti tra Stati. Uno studio della Banca Centrale mostra come in 1.228 casi le relazioni tra Stati si sono sviluppate in senso cooperativo; 507 casi sono stati affrontati invece senza tavoli di lavoro congiunto. Le Nazioni Unite indicano 37 casi tra il 1948 e il 2017 in cui la diplomazia dell’acqua non è riuscita a impedire i conflitti; registra però 295 casi in cui gli accordi internazionali sulla gestione condivisa dell’acqua hanno garantito la pace e la sicurezza.

Dall’altra parte c’è il mondo della Corporation, con le quali i governi e le popolazioni sono costretti a confrontarsi. Le multinazionali si pongono in chiara competizione con gli individui e con l’intero ecosistema bisognoso d’acqua. L’agrobusiness, l’industria del beverage e ogni produzione che necessita di disponibilità idriche garantiscono profitti presenti e futuri mediante accaparramento delle fonti con concessioni di lungo periodo, che vengono sottratte alle comunità. V’è la tendenza a lasciare a secco i rubinetti e imbottigliare l’acqua, per metterla sul mercato a un prezzo fino a 560 volte più alto. L’incasso mondiale del mercato dell’acqua in bottiglia nel 2015 è stato di 170 miliardi di dollari ed è in crescita.

Altra occasione di profitto sono gli investimenti infrastrutturali, per favorire i quali sorgono strumenti finanziari ad hoc. Tra i protagonisti dei processi di speculazione figurano grandi nomi come Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Ubs, Deutsche Bank, Allianz. ( cfr. Water Grabbing).

I sistemi industriali di produzione energetica nelle mani delle Corporation sono estremamente dipendenti dalle disponibilità d’acqua. La produzione idroelettrica impone la costruzione di dighe: sul pianeta ce ne sono 57mila tra gigantesche e piccole; hanno effetti devastanti sulle popolazioni locali. Nel settore del carbone è necessaria acqua, sia per le centrali che per le miniere, le falde idriche ne soffrono enormemente. Pure il nucleare, gli idrocarburi convenzionali e non, come gas di scisto e sabbie bituminose, impongono l’uso di grandi quantità dell’acqua che rovinano le falde. I biocarburanti come il biodiesel sono tra le cause di estrazioni idriche per l’irrigazione e si pongono in competizione con le necessità dell’agricoltura. Il modello di approvvigionamento energetico è strettamente dipendente dalle scelte politiche, fortemente condizionate dai gruppi di pressione economici e finanziari.

Da qui il ruolo centrale dei governi, la cui azione dovrà essere orientata in via prioritaria alla tutela, all’applicazione e al riconoscimento dei diritti fondamentali. Le istituzioni internazionali e nazionali partecipano al World water forum, laddove è sostanzialmente assente il punto di vista dei popoli. Il Forum dell’Acqua Mondiale Alternativo è il luogo d’incontro dei Movimenti popolari, delle comunità, degli intellettuali impegnati sul riconoscimento dei diritti. È compito degli avvocati nel mondo impegnarsi nel loro ruolo naturale di mediazione e favorire l’incontro e il dialogo tra le comunità e le istituzioni. Le proposte del World Water Assesment Program dovranno ricevere la spinta politica necessaria a fronteggiare le resistenze dei gruppi d’interesse economico e finanziario favorendo un processo di conversione ecologica, superando l’approccio antropocentrico in favore di una visione ecocentrica, in cui gli interessi privati e le speculazioni potranno subire un graduale ridimensionamento fino scomparire.