Come era abbondantemente prevedibile, le parole del sostituto pg di Genova Enrico Zucca hanno ancora una volta acceso i riflettori sui tragici fatti del G8 del 2001.

«Chi ha coperto i nostri torturatori, come dicono le sentenze della Corte di Strasburgo, sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?», si domandava Zucca l’altro giorno intervenendo ad un convegno sul diritto internazionale alla presenza dei genitori di Giulio Regeni. Immediata la replica stizzita al “parallelismo” con le forze di sicurezza del generale Al Sisi da parte capo della polizia Franco Gabrielli che ha definito «oltraggiose» le affermazioni della toga genovese. Sia il ministro della Giustizia Andrea Orlando che il pg della Cassazione Riccardo Fuzio, titolari dell’azione disciplinare, hanno comunque già fatto sapere che avrebbero acquisito l’intervento integrale del magistrato per gli accertamenti preliminari sulla sua condotta.

Sempre ieri, in apertura di Plenum, il vice presidente del Csm Giovanni Legnini ha voluto esprimere alla polizia «piena fiducia e sostegno per l’opera insostituibile cui assolve, per la sicurezza nazionale», ricordando che a breve saranno emanate delle linee guida per «orientare i magistrati sulle modalità di esternazioni opportune». Per il consigliere togato del Csm Claudio Galoppi, infatti, le dichiarazioni di Zucca «sono di inaudita gravità e non meritano alcun commento». Ancora più dure il consigliere Antonio Leone che chiede il «trasferimento per incompatibilità ambientale». Con cadenza ormai periodica, la vicenda dell’irruzione nella scuola Diaz e quella della caserma di Bolzaneto infiammano i rapporti fra magistratura e politica.

Zucca, che da pm condusse le indagini sui pestaggi, non è nuovo a queste affermazioni. In una intervista aveva parlato anche di «totale rimozione» delle vicende del G8 e del rifiuto per anni da parte della polizia italiana, diversamente da quella straniere, di «leggere se stessa» per «evitare il ripetersi» di errori.

Anche in quella occasione immediata era stata la reazione dell’allora capo della polizia Alessandro Pansa che, d’intesa col ministro dell’Interno dell’epoca Angelino Alfano si attivò per aprire un procedimento disciplinare a carico del magistrato.

Magistratura democratica, la corrente di Zucca, difese allora il pm. La vicenda, polemiche a parte, è complessa. I poliziotti materialmente autori delle violenze sui manifestanti, che hanno determinato la condanna dell’Italia per tortura da parte della Corte Edu di Strasburgo, non vennero mai identificati. Un “muro di gomma” impedì di risalire ai nomi dei picchiatori in divisa.

Chi venne condannato furono invece i funzionari responsabili dei falsi verbali che trasformarono nelle armi «trovate sul posto» per inchiodare i black bloc le molotov portate poco prima dalla polizia nella scuola Diaz.

Funzionari che «hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero», scrissero i giudici e che sono stati condannati in via definitiva, aprendo la strada a maxi risarcimenti. Scontata la condanna, definito il procedimento disciplinare, sono tutti tornati in servizio secondo le regole ministeriali vigenti. Alcuni anche con incarichi di prestigio. Gilberto Caldarozzi è diventato il n. 2 della Dia, Piero Troiani, quello che portò fisicamente le molotov, dirigente della polstrada del Lazio. Un fatto che ha destato “perplessità”, come ricordato da Raffaele Cantone.