Il decreto ministeriale che disciplina i corsi di formazione per l’accesso alla professione di avvocato entrerà in vigore il 31 marzo, introducendo una piccola rivoluzione copernicana per chi si iscriverà alla pratica forense con l’obiettivo di sostenere l’esame di Stato. L’avvocato Francesca Sorbi, consigliera del Consiglio Nazionale Forense e coordinatrice della Commissione formazione, ne analizza il contenuto e spiega che cosa cambierà. Partiamo dall’identikit del dm, che cosa prevede?  Ha come oggetto le modalità e le condizioni della formazione dei praticanti, da affiancare alla frequenza in uno studio legale, presso l’avvocatura dello Stato oppure nelle forme alternative del tirocinio. Il dm applica l’articolo 43 della legge professionale del 2012, stabilendo come i corsi di formazione devono essere organizzati e i loro contenuti, secondo i principi di qualità e omogeneità. Quale novità introduce? I corsi di formazione sono sempre stati organizzati su base volontaria, sia dai Consigli degli Ordini che da privati. La novità dirompente è che ora viene obbligatoriamente associato alla pratica forense anche un percorso formativo vero e proprio, affidato alla gestione dell’avvocatura stessa. In altre parole, il praticante non imparerà più la professione solo attraverso l’esempio del dominus, ma anche attraverso una struttura curricolare ad hoc. Come sarà articolato questo percorso formativo? Il corso avrà un triplice obiettivo: integrare ciò che si apprende durante la pratica; acquisire le competenze necessarie a espletare la prova di esame; acquisire la consapevolezza dei saperi deontologici necessari. Insomma, il percorso deve declinare le tre espressioni che contraddistinguono la nostra formazione: sapere, saper fare e saper essere. Perché i nostri giovani non facciano solo gli avvocati, ma lo siano. Chi selezionerà i contenuti dei corsi, in ossequio al principio di omogeneità? La costruzione del percorso è affidato all’avvocatura stessa, i cui aspetti concreti e operativi sono demandati a linee guida del Consiglio Nazionale Forense. Per ora, è già pronto un vademecum redatto in modo collegiale grazie ai laboratori delle singole scuole forensi presenti sul territorio. Poi, sulla base degli spunti tratti da questo vademecum, saranno predisposte delle linee guida, con valore normativo pur essendo uno strumento di soft law. E, praticamente, chi li organizzerà? I Consigli degli Ordini, le associazioni forensi e qualsiasi altro ente privato che venga ritenuto idoneo. L’Ordine ovviamente è il primo soggetto ad essere tenuto a organizzarli e non ha bisogno di accreditamento. I soggetti privati, invece, dovranno essere vagliati e accreditati dall’Ordine territoriale nel caso in cui il corso avvenga in un’unica città, dal Cnf nel caso in cui sia nazionale. Anche nell’accreditamento si cercheranno di seguire parametri omogenei. Veniamo alla questione dei costi: saranno corsi gratuiti?  Questo dipende dalla ricchezza dei singoli Ordini. E’ chiaro che, tendenzialmente, bisognerà cerca- re di rispettare il principio di gratuità. Sarà, però, possibile prevedere una quota di iscrizione per le spese di organizzazione, nel caso in cui l’Ordine non possa permettersele. I punti cardine, però, devono essere la qualità e l’omogeneità dell’offerta formativa, con l’obiettivo di offrire a tutti pari opportunità di apprendimento. Quando diventerà obbligatoria questa formazione, ai fini dell’abilitazione a sostenere l’esame di Stato?  Il dm si applica ai praticanti che si iscrivono 180 giorni dopo entrata in vigore del decreto, 31 marzo. Quindi, tutti i praticanti iscritti a partire dal 28 settembre 2018 dovranno seguire un corso di formazione di un minimo di 160 ore, distribuite nei 18 mesi di pratica.Le scuole forensi arriveranno preparate a questa scadenza?Stiamo lavorando a questo progetto già da parecchio tempo e il dm si è sviluppato su indicazioni di massima già note. Si tratta quindi di una novità annunciata, le scuole non si troveranno impreparate. Nel merito, lei ritiene che serva davvero questa aggiunta formativa al già gravoso impegno della pratica forense?  La domanda è: la pratica è sufficiente a garantire ai professionisti di domani una formazione uniforme? La risposta è no. La scuola forense, allora, è un’opportunità in più e non un inutile orpello, proprio perchè ha come obiettivo l’omogeneità dell’offerta e del giudizio. La scommessa è quella di riuscire a rivoluzionare la metodologia didattica, creando corsi di identica impostazione sul territorio nazionale. Attenzione, non corsi che duplichino il percorso universitario, ma seminari in cui si impari ad essere avvocati.