Ammesso che le presidenze delle due Camere siano la prima chiave di volta per capire quale governo si formerà, ammesso che non rivada a finire come nel 2013 quando due presidenti furono eletti per quel governo del cambiamento che voleva Pier Luigi Bersani e che invece non ci fu mai, accanto allo schema già dato quasi per scontato che vede una carica alla Lega e una ai Cinque Stelle, gira parrallelamente e un po’ sotto silenzio anche un altro scenario. E cioè quello che potrebbe vedere le due presidenze distribuite tra Pd e Lega, come anticipo se non di un appoggio esterno almeno di un’astensione dei deputati renziani ( praticamente la quasi totalità degli eletti dem) a un governo di minoranza di centrodestra che va a cercare voti in parlamento.

Che poi Matteo Salvini, che ovviamente rivendica la premiership di questo esecutivo, rischi di fare la fine di Bersani, ottenendo solo un preincarico e non un incarico, non è dato sapere. E certamente non è a questo che ambisce il segretario leghista che nei comunicati ufficiali del Carroccio ormai viene definito oltre che leader della Lega anche “leader del centrodestra”. Salvini sembra ambire a conquistare ormai quel che resta del centrodestra più che mettersi alla guida di un esecutivo traballante che potrebbe non nascere mai. Visti i numeri che mancano ( una sessantina tra Camera e Senato) quindi Silvio Berlusconi nell’intervista a Il Corriere della sera non può che dire che lui certamente sosterrà “lealmente il tentativo” del leader leghista. Perché, appunto, stando alla fredda matematica di tentativo si tratterebbe.

E però Berlusconi, che ha ricordato all’alleato che lui resta «il regista e il garante della compattezza del centrodestra», come sottolineare che da solo il leader leghista non va da nessuna parte, non può che chiedere al capo dello Stato che il mandato per la formazione del nuovo governo, pur nel rispetto delle sue prerogative, non può che andare al centrodestra «la prima formazione politica», uscita dal voto del 4 marzo. Anche se dentro Forza Italia c’è chi dice che proprio perché questo governo di minoranza dovrebbe cercare più consensi possibili e in primo luogo almeno l’astensione del Pd, alla guida ci dovrebbe essere una figura “meno divisiva” di Salvini. Magari il vicesegretario, economista bocconiano, dai toni dialoganti, Giancarlo Giorgetti, quindi sempre un premier indicato dalla Lega? Ipotesi che in questo modo toglierebbe a Salvini il rischio di finire come nel non governo di Bersani e con le mani libere per diventare semmai lui il regista del centrodestra?

Sono solo ipotesi, scenari. E chi ha sentito in questi giorni lo stesso Giorgetti ( altro nome gettonato insieme con quello di Calderoli anche per una delle due presidenze) lo avrebbe trovato certamente felice per il risultato della sua Lega, ma anche con molte preoccupazioni. Ad ogni modo secondo alcuni gossip sembra si siano riaperti alcuni spiragli, seppur molto piccoli, di dialogo anche tra Arcore e largo del Nazareno.

Tant’è che alcuni esponenti orlandiani della minoranza del Pd ieri sono subito insorti mettendo sull’avviso contro «possibili scambi delle due presidenze tra centrodestra e il Pd, in vista di chissà quali future alleanze di governo, mentre qui Renzi sta usando l’arma di distrazione di massa dell’accordo tra esponenti Pd e Cinque Stelle».

In tutto questo Salvini non può intanto che godersi il sorpasso su Forza Italia e si fa fotografare in un ristorante a Portofino con il governatore ligure Gianni Toti, il capofila dei filoleghisti di Forza Italia ( finiti sotto accusa ad Arcore per aver favorito la Lega, tant’è che Gianni Letta irritato abbandonò il tavolo delle candidature), e il neodeputato Edoardo Rixi, che anche poco prima delle elezioni rilasciò dichiarazioni abbastanza antiberlusconiane. Il pranzo alla trattoria del “Marinaio” ironia delle sorte avviene proprio in quella Portofino, così amata dal Cav, che è rimasta una roccaforte azzurra. Ma intanto, come esulta Barbara Saltamartini, «la Lega è il primo partito del centrodestra anche nel Lazio».

E Salvini a sera torna a suonare la carica forse anche per fugare i dubbi di chi pensa che in fondo lui non se la senta di andare alla guida di un governo traballante e faccia invece a questo punto scommesse di più lunga gittata: «Andare al governo è il nostro obiettivo. Stiamo lavorando alla squadra e, nel rispetto delle scelte del presidente della Repubblica, siamo pronti a incontrare le forze politiche rappresentate in parlamento». Ma chi conosce bene la Lega e il suo leader dà per scontato già da ora che «Matteo non andrà mai a bruciarsi in un governo con i Cinque Stelle, facendo il gregario a Di Maio, quando lui ora è il primo del centrodestra, se non altro perché metterebbe a rischio le regioni del Nord governate con Fi». Però Salvini continua a mettere in guardia da un governo tra Pd e Cinque Stelle, un rischio che lui dice di «vedere all’orizzonte». Ma secondo commenti maliziosi un governo così in fondo «potrebbe essere la migliore soluzione per gli obiettivi a lunga gittata di Salvini».