Duecentoventuno deputati e centododici senatori sono un bottino prezioso da cui partire, ma per una maggioranza di governo serve di più. Parecchio di più. Il trionfo elettorale dei 5 Stelle rischia di rimanere lettera morta senza quei cento parlamentari in più - una cinquantina al Senato - indispensabili per presentarsi davanti a Sergio Mattarella con una certezza in tasca. Per questo Luigi Di Maio e i vertici pentastellati pensano a tutte le possibili soluzioni per uscire dall’angolo. Al momento, il capo politico grillino sta lavorando a una lista di dieci punti programmatici da mettere sul piatto per possibili intese di governo: sicurezza, lavoro, immigrazione sono i nodi cruciali. Poche righe scritte in maniera tale da non far irrigidire anche alcuni dei partiti fino a ieri considerati il male assoluto. E l’identikit dell’alleato perfetto del Movimento, almeno in queste prime ore post voto, porta al nemico di sempre: il Partito democratico. I grillini scommettono su un ammutinamento democratico generalizzato che porti alla disobbedienza degli eletti nei confronti della linea indicata dal segretario uscente: «Mai al governo con i populisti». In casa dem si vedono già le prime crepe, con Michele Emiliano, Francesco Boccia e Sergio Chiampario che, con varie sfumature, aprono esplicitamente a intese con gli ex rivali. È il segnale che Di Maio aspettava, ora farà di tutto per convincere i 112 deputati e i 57 senatori Pd a sostenere un suo esecutivo, magari allargando la maggioranza anche alla piccola squadra di Liberi e Uguali, visto che bisognerà compensare l’elezione dei grillini espulsi e la resistenza di al- cuni renziani.

Il leader M5S sa però che non sarà sufficiente scrivere un mini programma su un foglio per rintracciare i voti mancanti. Serve sedersi a un tavolo e trattare, anche sui nomi dei ministri se necessario, rinunciando a qualche pedina decisiva in nome della “responsabilità”. I grillini sanno che la parola inciucio rischia di entrare anche nel loro vocabolario ma potrebbero essere disposti a rinunciare un pizzico di ortodossia in nome del bene comune: Palazzo Chigi. E secondo alcuni il canale di comunicazione col partito di Renzi potrebbe essere aperto da Alessandra Pesce, ministro in pectore dell’Agricoltura che dal 2014 collabora con l’attuale titolare del dicastero: Maurizio Martina.

L’alleanza col Pd è solo una delle strade percorribili, e se il tentativo dovesse fallire i 5 Stelle non vogliono precludersi altre soluzioni, magari aprendo un canale con Matteo Salvini. A pochi giorno dal voto tutto è in movimento, persino Grillo preferisce non sbilanciarsi e per sapere qualcosa sulle possibili intese suggerisce di chiedere al «capo politico». Ma poi il garante trova le parole per descrivere la nuova fase: «La specie che sopravvive non è quella più forte ma quella che si adatta meglio. Quindi noi siamo un po’ dentro democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra, un po’ di centro... possiamo adattarci a qualsiasi cosa». Tradotto: siamo pronti a collaborare con chiunque.

Del resto il partito del web è cresciuto e non spaventa più i mercati o i “poteri forti”. Anzi, riceve encomi e incoraggiamenti persino da Confindustria. «Sono un partito democratico, non fanno paura», dice il presidente degli industriali Vincenzo Boccia. Persino Sergio Marchionne sostiene di non temere nulla dal Movimento: «Ne abbiamo passate di peggio», commenta.

Ormai i grillini sono classe dirigente e nessuno può permettersi il lusso di sottovalutare il loro exploit elettorale. Anche se i pentastellati perdono consensi nelle città da loro amministrate ( Roma, Torino e Livorno), basta guardare la Sicilia, completamente colorata di giallo, per capire la portata del loro successo. Sull’isola, addi- rittura, il Movimento ottiene più seggi dei candidati in lista. Oltre ai 28 eletti all’uninominale, infatti, guadagna 25 parlamentari al proporzionale. Una vittoria più larga del previsto che crea problemi nei subentri, visto che alcuni candidati risultano eletti sia nel listino che all’uninominale.

Ora tocca a Di Maio il compito di far pesare questi numeri in Parlamento. Venerdì ci sarà la prima assemblea con i nuovi “portavoce” a Roma. In quell’occasione il capo politico darà le prime indicazioni in vista della nuova legislatura che si aprirà formalmente il 23 marzo. Ma per capire come andrà a finire il gioco degli incastri in vista di possibili alleanze bisognerà attendere l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Solo a quel punto, con la formazioni di maggioranze reali in Aula, si capirà di che pasta è fatto il Movimento 5 Stelle.