Sulla bufera che sta sconvolgendo il mondo delle Ong, scosse dallo scandalo sessuale della britannica Oxfam e altre organizzazioni, si aggiunge un altro elemento di preoccupazione anche se di segno differente. Il governo ungherese di Viktor Orban, capo della formazione nazionalista Fidesz, ha presentato il 14 febbraio al Parlamento un pacchetto di misure che colpiscono  le organizzazioni non governative impegnate nell’aiuto ai migranti. L’insieme dei provvedimenti ha un nome evocativo: “Stop Soros”. Il magnate americano, ma di origine ungherese, finanzia le attività di diverse Ong ed è quindi visto da Orban come uno dei maggiori nemici del paese magiaro. Per Orban, Soros sarebbe a capo di un’operazione che mira a invadere l’Ungheria e l’Europa con centinaia di migliaia di immigrati islamici. Nel concreto le misure anti Ong sono severe. Innanzitutto una tassazione del 25% per i finanziamenti che arrivano dall’estero in quanto alcune Ong vengono considerate alla stregua di “agenti stranieri”. Inoltre le organizzazioni umanitarie dovranno chiedere il permesso, per svolgere le proprie attività, ad un tribunale di zona che si riserva di decidere in maniera positiva o negativa. Ma il provvedimento probabilmente più pericoloso, è quello relativo all’istituzione di una zona per la detenzione di immigrati  senza permesso. Questo luogo si troverebbe a 8 km dal confine ungherese. Orban ha giustificato queste misure draconiane con ragioni di sicurezza nazionale, quella sicurezza che sarebbe minacciata proprio da George Soros. Contro il tycoon è stato emesso un vero è proprio bando che ne impedirebbe l’ingresso in Ungheria in quanto “nemico pubblico”. Resta da vedere quanto ciò sia attuabile, anche se il titolare del dicastero dell’Interno Sandor Pinter ha affermato davanti ai giornalisti che la doppia cittadinanza di Soros renderebbe possibile il blocco.Intanto però l’offensiva di Orban nei confronti del magnate ungherese-americano ha già prodotto alcune rotture. Lo scorso anno Budapest ha messo sotto scacco la Central European University, un’istituto che il magnate finanzia fin dagli anni novanta dopo la caduta della cortina di ferro. La reazione del governo statunitense non si fece attendere e lo scontro con Orban non rimase senza conseguenze.Le reazioni alla decisione del governo magiaro stanno avendo eco internazionale. Dal Comitato Helsinky (finanziato sempre da Soros) ad Amnesty International fino al Consiglio d’Europa si definisce l’insieme delle misure di Orban come “irricevibile”. Posizioni che però non spaventano Budapest che ha già replicato: «il governo ungherese si oppone all’immigrazione illegale in ogni modo. Dobbiamo garantire la sicurezza dei cittadini».Inoltre, come ritorsione, il capogruppo parlamentare di Fidesz, Gergely Gulyas, ha fatto sapere che come ritorsione l’Ungheria potrebbe ritirarsi dalle trattative, in corso in sede Onu, circa l’Accordo globale sull’immigrazione. Orban ha chiarito quale sia la sua posizione: «Per noi è inaccettabile che la migrazione diventi un diritto umano fra le libertà di base». In realtà l’offensiva di Orban è anche guidata da convenienze di tipo interno. L’8 aprile infatti si vota  e dai sondaggi il partito di governo è accreditato di un 34% contro il 13% dell’estrema destra di Jobbik. Solo al 9% i socialisti. Con la sua vittoria Orban ricoprirebbe il suo terzo mandato consecutivo.I riflessi sarebbero immediati a livello europeo con un rafforzamento di cosiddetti paesi del gruppo di Visegard (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia) che contestano la politica Ue in tema di migranti e ricollocamento dei rifugiati. Nessuna cessione di sovranità a Bruxelles e accenti fortemente nazionalisti. Una tendenza già vista con la vittoria del miliardario Andrej Babiš nella Repubblica Ceca , che ora sta contagiando anche l’Austria guidata dal  nuovo esecutivo "nero-blu"  di Sebastian Kurz, leader del partito Popolare, e lo schieramento populista Fpö, guidato da Heinz-Christian Strache.