Ai tempi nostri stavamo mesi senza stipendi, mentre oggi i più puritani si fanno rimborsare di tutto». La politica, un tempo, era una cosa seria, sembra voler dire Franco Giordano al Dubbio. Militante dal 1974, quando si iscrisse al Pci, l’ex deputato ed ex segretario di Rifondazione comunista racconta la sua vita nel partito, fatta di lotta e impegno. E condanna il rancore, unico protagonista della scena contemporanea. «Manca il popolo e ogni ipotesi di riforma sociale viene imbrigliata in una logica conservativa».

Come era la politica all’epoca dei partiti di massa?

Ai tempi nostri al Pci, ma anche con Rifondazione, eravamo obbligati a versare il 60 per cento degli emolumenti al partito. Lo sentivamo come un dovere per finanziare uno strumento che aveva finalità sociali e obiettivi generali. Non voglio fare polemica, ma i rimborsi oggi vengono chiesti per le spese più bizzarre. Quelli che si definiscono più puritani campano con molte più risor- se di noi. Se ci siamo ridotti a parlare di questi argomenti vuol dire che siamo al degrado e che la politica non incide per nulla sui processi economici, sui destini individuali e collettivi.

Come funzionava al Pci?

Il nostro era un contratto legato ai metalmeccanici, vivevamo di sottoscrizioni, delle risorse del tesseramento e solo in parte di finanziamento pubblico. Spesso ci dovevamo accontentare di acconti e la nostra situazione economica non è stata mai straordinaria. Abbiamo spesso sofferto, ma non abbiamo mai abbandonato la passione politica.

Come utilizzava i soldi il partito?

Per produrre propaganda, pagare le iniziative, le attività pubbliche. Organizzavamo seminari, convegni, con lo scopo di elevare l’atti- vità culturale non solo del partito, ma di tutti. I partiti di massa, finché sono esistiti, hanno determinato il processo di crescita culturale del Paese, avevano una funzione culturale grandissima. Ma oggi esistono solo gli individui. Noi militanti studiavamo molto e i soldi che ci rimanevano finivano in libri. Eravamo animati da passione culturale, oltre che sociale. E nessuno, all’epoca, discuteva del fatto che non riuscissimo a recuperare risorse per vivere dignitosamente. Allora la politica aveva una funzione, poteva progettare. Il problema dei soldi si è posto quando la politica è diventata ininfluente.

Com’era la vostra vita?

Complicata. Ci capitava anche di non avere lo stipendio per mesi, ma non ne abbiamo mai fatto un elemento di vanto. Quando ero a Bari e facevo il funzionario di partito vivevo in famiglia, ma quando siamo andati a Roma, con Nichi Vendola, abitavamo tutti in un’unica casa all’estrema periferia della città.

Chi pagava quella casa?

Il partito ma eravamo in sei, una specie di comunità. Per arrivare in centro ci mettevamo almeno un’ora e mezza, era un’avventura. Era una vita fatta di sofferenze, ma non le abbiamo mai declamate. Avevamo degli ideali, sofferenza di vita concreta e non vivevamo degli agi di oggi, perché l’etica era determinata dal fatto che c’era un’idea di trascendenza. E se facevi cose sbagliate era il tuo compagno a metterti alla berlina, perché avevi tradito l’idea.

Onestà e legalità sono baluardi della propaganda grillina. Ma prima queste parole cosa significavano?

L’onestà era una cosa ovvia rispetto alla politica. Ma anche sul rispetto della legalità, andiamoci calmi. Se io avessi dovuto rispettare la legalità da giovane, lo statuto dei diritti dei lavoratori non sarebbe mai esistito. Certe conquiste sono frutto di una disobbedienza alle regole e l’evoluzione sociale è sempre una forzatura del concetto della legalità. Chi lo difende in termini statici è un conservatore. Se siamo tutti uguali, come dice la Costituzione, bisogna superare tutte le condizioni che impediscono l’uguaglianza e ciò significa incentivare condizioni di conflitto sociale. Trovo che faccia più danni l’incompetenza della presunta disonestà, perché ha effetti drammatici sul paese. Bisognerebbe essere onesti e competenti.

La politica non ha più peso dunque?

Esatto. Questa idea così assoluta, così ostentata, a volte ossessiva di puritanesimo, infondata nei fatti, diventa conservazione. Un movimento che incanala la protesta in qualcosa che tiene dentro tutto e di più – destra e sinistra, senza distinzione – e ha come unico elemento costitutivo l’onestà, non ha speranze di cambiare le cose. Non si può senza rifondare l’idea di società e di popolo e se si mantiene una logica conservatrice.

Come andrebbero utilizzate le risorse dei partiti?

Ci vogliono meno soldi e più servizi, strutture, spazi pubblici. Lascerei perdere il microcredito alle imprese: ci deve pensare lo Stato, non ci devo pensare io con il mio stipendio, che deve essere morigerato alla pari di tutti. Perché altrimenti tu dici che avere la massima funzione del Paese è l’impegno più degradante del mondo. Io che ho sacrificato la mia dimensione di ragazzo per il Paese perché devo prendere sputi in faccia?