Arriva lui. Nicola Gratteri. Il superprocuratore. E ministro mancato. «C’è una giustizia amministrativa efficiente, in questo territorio», cioè a Catanzaro, dove ha sede il Tar Calabria. Sembrerebbe un complimento per Vincenzo Salamone, che presiede appunto il locale Tribunale amministrativo e che ieri vi ha tenuto l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ma l’omaggio di Gratteri, intervenuto all’evento, è solo la premessa di un proclama autocelebrativo: «L’efficienza del Tar è un dato che si abbina alla maggiore efficienza che abbiamo impresso alla nostra Procura». I tempi cambiano, per la giustizia nel capoluogo calabrese. Grazie al capo dell’ufficio inquirente, innanzitutto.

Ma cambiano i tempi per tutti, anche per gli amministratori locali. Il procuratore fa quasi il gesto di indicare il quadrante dell’orologio, quello degli allenatori di calcio quando intimano all’arbitro di recuperare le perdite di tempo degli avversari: «La nostra è una rivoluzione, peccato però che altrettanta rivoluzione non abbiamo visto in chi amministra, non abbiamo visto in costoro una presa di coscienza, nei vari enti ancora non si sono resi conto che la ricreazione è finita». In classe, forza. È suonata la campanella. Basta ricreazione. È ora di fare pulizia.

E come? Con una rivoluzione, appunto. Che a seguire il ragionamento di Nicola Gratteri assomiglia tanto a una sospensione degli istituti democratici. Premessa: poco prima del suo intervento all’inaugurazione, il presidente Salamone aveva sciorinato i primati del Tribunale amministrativo calabrese: «Abbiamo definito 62 ricorsi in materia di interdittive antimafia, con 39 ricorsi sopravvenuti e una media di 40 l’anno: numeri superiori a quelli di ogni altro Tar». Primato che meriterebbe una sottolineatura amara, non stentoreo compiacimento. E in effetti Salamone, che deve avere di sé un’idea un po’ più fatalista rispetto al procuratore capo, osserva: «Le interdittive antimafia certamente hanno un impatto negativo sulla vita economica della Regione, ma se non si fa pulizia l’economia legale cede il passo a quella illegale». Senz’altro.

Certo meriterebbero approfondimenti - e non se ne scorgono, nella cerimonia catanzarese - storie come quella dell’ex presidente della Confindustria reggina, Andrea Cuzzocrea, che per via di un’interdittiva antimafia scaturita da vicende paradossali si è visto revocare un appalto da 16 milioni poi assegnato a una ditta gestita dai figli di un deputato della commissione Antimafia. Ma nel bilancio trionfalistico presentato ieri non c’è spazio per riflessioni sui conflitti d’interesse. C’è appunto il luminoso futuro, la rotta rivoluzionaria indicata da Gratteri. Eccola: «Ha detto il presidente Salamone che sono aumentate le interdittive antimafia con relativi ricorsi al Tar: ebbene, le interdittive antimafia aumenteranno ancora, così come aumenterà il numero degli scioglimenti di Comuni per infiltrazioni mafiose». Pare un comizio elettorale alla rovescia: invece di promettere più lavoro per tutti, si giura che arriveranno più manette per tutti. Certo che l’attivismo della magistratura, in una terra economicamente desertificata, resta un dato commendevole. Ma è l’enfasi con cui Gratteri celebra la repressione che lascia spiazzati. Anche, forse soprattutto per quella gioiosa rassicurazione sul fatto che «ci saranno ancora più comuni sciolti per mafia». Come se un uomo delle istituzioni se ne potesse rallegrare. Come se l’auspicio per il nuovo anno, l’anno giudiziario, non dovesse invocare il ritorno della legalità, il ridursi della presenza mafiosa nei comuni. Come se esistesse solo il male, con uno sparuto ma glorioso esercito in toga incaricato di estirparlo. E una Repubblica fondata sui prefetti pronta a soppiantare la banalità dei sindaci eletti dai cittadini.

D’altronde l’attuale procuratore di Catanzaro è noto per i modi risoluti. Non a caso è stato lui a mettere a punto una delle norme più contestate, per l’impatto sulle garanzie, introdotte con la riforma penale: il cosiddetto processo a distanza. Si spende troppo per le “traduzioni”, ovvero i trasferimenti dei detenuti dai penitenziari ai tribunali in cui sono attesi come testi o imputati? Benissimo, mettiamoli davanti a una telecamera ( che peraltro nella maggior parte delle carceri non esiste), senza avvocato, senza la possibilità di “respirare” il clima del processo, senza che il giudice possa farsi un’idea dalle espressioni del volto oltre che dalle parole, e il gioco è fatto.

E poi Gratteri non è tranchant solo nel suo campo. Anche quando si occupa di altri dicasteri ( lui, appunto, guardasigilli mancato) divide il mondo a colpi d’accetta. Due giorni fa era intervenuto a un’iniziativa sulla legalità in un Istituto tecnico di Catanzaro, e davanti a una platea di ragazzini si era espresso nei seguenti termini: «Oggi vedo che c’è una scuola sempre più blanda, più leggera, oppure assistiamo a tanti caproni che si laureano in Legge, anche perché c’è un sistema che assegna i contributi alle università in base al numero degli iscritti». Segue altro concetto proposto con tono evocativo: «C’è stato in generale negli ultimi decenni un abbattimento della morale e dell’etica, una scostumatezza che porta ad avere anche genitori animali che vanno negli istituti scolastici e aggrediscono gli insegnanti». Tutto vero, ma da un magistrato severissimo nel perseguire qualsiasi condotta ci si aspetterebbe un linguaggio più contenuto. Si esprimesse così un parlamentare, o diventerebbe segretario della Lega o sarebbe messo all’indice. Ma nelle pieghe delle norme sulle guarentigie dei magistrati deve nascondersi anche la licenza di parlare come in un film di Quentin Tarantino.