Ha avuto un gran successo di pubblico il film su Fabrizio De André mandato in onda ieri e l’altro ieri sera sul primo canale della Tv. Perfino un tipo come Matteo Salvini, sempre polemico, stavolta ha fatto i complimenti alla Rai: ha detto che Faber (che è il soprannome che aveva De André) è un mito.Ha avuto successo il film o ha avuto successo De André?

Cioè: ha avuto successo l’immagine di quel personaggio anarchico e romantico, bello, ribelle, e che cantava con una voce molto suggestiva canzoni fantastiche e originali? Oppure ha avuto successo il messaggio che De André ci ha lasciato dopo circa 40 anni sulla scena?La reazione di Salvini fa pensare alla prima ipotesi. A Salvini piace De André per la sua carica di protesta. Per la potenza poetica del suo messaggio antisistema. E la mia impressione è che sia questo l’aspetto di De André che ha ottenuto l’applauso universale. Ma nessuno, forse, ha voglia di fare i conti con il De André vero. Cioè con il grande intellettuale genovese, anarchico e libertario, provocatore purissimo, che era contro l’autorità costituita, contro la legalità borghese, che si schierava con i reietti, con gli ultimi, con gli emarginati, con gli assassini, con le puttane. Il pensiero e il sentimento di De André sono talmente lontani dal sentire comune che oggi costituisce il nocciolo duro dello spirito pubblico, da essere considerati una specie di metafora, una forzatura letteraria. Non un’idea reale. Oggi sembrano incompatibili con la realtà, e quindi accettabili solo in quanto fantastici. Invece De André aveva una idea vera, concreta di società: ed era coerente. La sua idea era irrecevibile dal senso comune di oggi.Colpisce il fatto che il leader di uno schieramento che usa slogan come quelli che Salvini usa per chiedere l’espulsione dei migranti, l’ergastolo per i malfattori, la fucilazione per i ladri di appartamento (“se entrano in casa, devono uscire coi piedi davanti… se li metti incarcere devi buttare la chiave... ”), colpisce che poi esalti la figura e le canzoni di De André. E del resto colpisce anche come De André venga santificato da buona parte della sinistra ultra legalitaria e girotondina, quella del Fatto quotidiano, di Saviano, di Fazio, ma non solo, e poi dai 5 Stelle e da ampi settori ultra giustizialisti della sinistra radicale.

Qualunque sia il giudizio su De André, una cosa è certa, e cioè che aveva due bersagli, due idiosincrasie: la legalità e i giudici. Faber identificava il potere proprio lì: nella legalità e nella magistratura. Una delle sue canzoni più belle – anche se non la scrisse lui ma il suo maestro francese Georges Brassens – è quella che racconta in modo un po’ scurrile la storia di un gorilla che sodomizza un giudice. Il giudice è preso come simbolo di tutte le miserie, gli egoismi e l’idiozia umana. Trascrivo gli esilaranti (e amari) versi finali di quella canzone: “... piangeva il giudice come un vitello / e negli intervalli gridava mamma / gridava mamma come quel tale / che il giorno prima come ad un pollo / con una sentenza un po’ originale / aveva fatto tirare il collo... ”.De Andrè era anti-legalitario, anticonformista e libertario. Ha scritto canzoni contro la legge, contro la violenza (ma anche per la violenza) contro i sindacati (specialmente la Cgil), contro il Pci, contro la borghesia, contro il maschilismo, contro la polizia, contro la sessuofobia, ha difeso il movimento del ‘77, gli anarchici, e persino la lotta armata. È assolutamente inutilizzabile da un punto di vista legalitario e tantopiù da un punto di vista leghista.Il suo disco che ho amato di più è “Storia di un impegato”. Lo ho amato più di tutti gli altri sui dischi anche se molti musicologi pensano, al contrario, che sia la sua opera meno riuscita. È un’opera del 1973, durissima, quasi violenta. Un racconto. Parte dal maggio francese (la rivolta degli studenti nel 1968) e finisce con un inno alla rivolta dei detenuti.

Trascrivo solo pochissimi versi della canzone finale: « tante le grinte, le ghigne, i musi, / vagli a spiegare che è primavera /e poi lo sanno ma preferiscono / vederla togliere a chi va in galera.Certo bisogna farne di strada / da una ginnastica d’obbedienza / fino ad un gesto molto più umano / che ti dia il senso della violenza / però bisogna farne altrettanta / per diventare così coglioni / da non riuscire più a capire /che non ci sono poteri buoni. /E adesso imparo un sacco di cose / in mezzo agli altri vestiti uguali / tranne qual è il crimine giusto /per non passare da criminali. / Ci hanno insegnato la meraviglia / verso la gente che ruba il pane / ora sappiamo che è un delitto / il non rubare quando si ha fame.Voi ve lo immaginate Salvini che a un comizio della Lega canticchia questa canzone? Ma non solo Salvini: Travaglio, o Grillo, o Bersani, o Grasso, o Rosy Bindi...Forse il capolavoro di De André, la sua provocazione più estrema, è stata la canzone don Raffaè, dedicata a Raffaele Cutolo, il capo della camorra. Cutolo è in prigione dagli anni sessanta. Credo che abbia battuto tutti i record nella lunghezza della detenzione. Negli anni ottanta era considerato un boss più o meno del rango di Riina e Provenzano. Don Raffaé è un brano del 1990. Ogni tanto provo a pensare cosa succederebbe oggi a un cantante che volesse dedicare una canzone, non dico a Riina, ma a un qualunque povero cristo che sta in prigione, magari ingiustamente, come per esempio Dell’Utri. Lo farebbero a fette.Datemi retta: lasciate stare De André. Era unico. Lasciatelo stare, “signori benpensanti”, come diceva lui. Non è roba per voi. Faber ha diritto a un po’ di rispetto, no?