«Grazie per le offerte, ma quei soldi dateli ai bisognosi. Che siano italiani, però». Luca Traini per qualcuno è già un eroe. Uno che merita ammirazione, sostegno morale e anche economico. Così Giancarlo Giulianelli, l’avvocato che lo difende, racconta al Dubbio di ricevere telefonate con offerte di aiuto da parte di gente comune che non se la sente di lasciare solo Luca. Il suo scopo era vendicare Pamela Mastropietro, la 18enne morta forse per overdose dopo essersi allontanata dalla comunità di recupero Pars di Corridonia e poi fatta a pezzi, e per la cui morte è in carcere il nigeriano Innocent Oseghale. Da quel dramma è partita la sua caccia al nero, con un solo dispiacere: aver colpito una donna. «Non volevo», ha detto al pm Stefania Ciccioli. Alla quale ha aggiunto di stare bene in carcere. «Ho trovato una famiglia qui, ora sono a casa e ho un obiettivo», ha confidato. Gli altri detenuti di Ancona gli stringono la mano, sono felici per il suo gesto. Una scena descritta da La Stampa e che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, interpellato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, ha smentito categoricamente. Ma le manifestazioni di solidarietà non mancano.

Avvocato, i giornali parlano di un’ovazione all’arrivo di Traini in carcere, mentre il Dap ha smentito. Come sono andate le cose?

Ho l’impressione che qualcuno abbia male interpretato la situazione. Il carcere è uno spaccato della società, qualcuno ha manifestato in maniera molto civile quella solidarietà che anche all’esterno si avverte. Ma è molto più banale di com’è stata dipinta, non c’è stata un’ovazione. Qualcuno ha manifestato sicuramente solidarietà nei confronti del ragazzo, così come immagino qualcuno abbia provato sensazioni diverse.

La solidarietà, appunto, non è mancata: sono molti quelli che si sentono più vicini a Traini che alle sue vittime.

Quel che preoccupa è infatti altro, il mondo fuori dal carcere. C’è tanta gente che manifesta solidarietà, che può essere la più varia: una lettera di vicinanza, l’invio di denaro, di un libro. Lui rifiuta i soldi, ringrazia ma dice che a lui ci penserà la sua famiglia. A chi offre denaro ho detto che può farlo con un vaglia al carcere. E lui chiede che quelle donazioni vadano a famiglie bisognose. E italiane. C’è chi condivide quello che ha fatto, il che, se da un lato può sembrare inquietante, e certamente io ritengo che lo sia, dall’altro lato dà il senso delle dimensione dell’aria che si respira.

È d’accordo con la scelta di vietare le manifestazioni - sia antifasciste sia di estrema destra organizzate a Macerata?

Lo trovo assolutamente giusto. Non dimentichiamo le parole di Gentiloni, il suo invito a tenere toni moderati, così come ha fatto anche Mattarella. In linea con queste giuste direttive, trovo sensato evitare manifestazioni che rischiano di creare frizioni tra diverse idee politiche. Macerata però continua ad essere un posto tranquillo, solo un po’ affollato di forze dell’ordine. È un bene che ci siano, certo avremmo preferito non fosse per gesti così. Un gesto isolato, che non può essere giustificato dai numeri del flusso migratorio.

Nelle scorse ore il ministro Minniti ha spiegato di aver fermato gli sbarchi perché aveva previsto un caso Traini. Ma ciò, a quanto pare, non è bastato.

Minniti ha ragione, ha trovato una situazione difficile e ha fatto quello che ha potuto. A Macerata il numero dei migranti è in diminuzione. Però il problema che ci portiamo dietro è quello dei vecchi migranti ed è difficile fare ospitalità quando si creano attriti tra chi ospita e chi viene ospitato. Ciò, però, non può legittimare il gesto che ha fatto il mio cliente, un ragazzo che ha problemi, un gesto che io, per primo, condanno. Non possiamo in alcun modo condividerlo. Sono certo che la soluzione si trovi parlando, discutendo. Non si può andare in giro per strada ad ammazzare le persone, persone oltretutto estranee alla storia di Pamela.

Non è però il primo caso. Secondo lei è davvero ipotizzabile l’incapacità di intendere e di volere nel caso del suo cliente?

Proprio l’assurdità del gesto rappresenta una conferma a quella che è la mia ipotesi e sulla quale baserà la difesa: che Traini non fosse capace di intendere e di volere. ha vissuto un blackout totale che lo ha portato ad impugnare la pistola e a sparare contro quelle persone. Ho una certezza, anche se non sono un esperto del settore, una certezza palpabile: non era in sé. Anche le modalità con cui ha compiuto questo gesto indicano che c’è un vissuto, evidenti sofferenze, che lo hanno portato a tatuarsi la parola “outcast”, emarginato, sulle falangi. Si sente orgogliosamente un emarginato tra gli emarginati, per questo vede il carcere come casa sua. Non è, quindi, solo quanto successo ad indicare la sua sofferenza. Sarebbe troppo superficiale. Quel gesto denota che c’è qualcosa che lo fa stare male, che viene dal suo passato, il rapporto con famiglia, con gli amici, gli affetti.