C’è il serio rischio che si arresti l’iter per l’approvazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Se venissero confermate le voci, provenienti da fonti attendibili, le quali dicono che venerdì prossimo potrebbe esserci l’ultimo Consiglio dei ministri della legislatura in corso, parliamo dell’ultima possibilità di approvazione definitiva dei decreti delegati prima del 4 marzo, il giorno delle elezioni politiche. Difficilmente si potrebbe immaginare che la prossima legislatura abbia come prerogativa l’approvazione della riforma. Tutto ora dipende dalle commissioni giustizia di entrambe le camere. La commissione della Camera, salvo imprevisti, dovrebbe finire l’iter mercoledì prossimo, mentre quella del Senato ha convocato per oggi pomeriggio le audizioni informali invitando il direttore generale dei detenuti e trattamento Roberto Piscitello, il procuratore aggiunto della procura di Catania Sebastiano Ardita e Stefano Ferracuti, professore associato della facoltà di medicina e psicologia presso la Sapienza di Roma. Dopodiché, i della commissione giustizia del Senato, si dovranno riunire mercoledì per concludere l’iter. Quindi, in teoria, se tutto andrà bene e senza alcun rinvio, mercoledì prossimo entrambi le Commissioni dovrebbero inviare al Consiglio dei ministri il testo dei decreti con le loro osservazioni.

Solo a quel punto, in teoria, il Consiglio potrà mettere all’ordine del giorno l’approvazione definitiva dei decreti. Venerdì, salvo smentite, è l’ultimo giorno disponibile. Basta quindi un piccolo intoppo per far naufragare la riforma tanto attesa, sia dalla popolazione detenuta, sia dalla Corte Europa dei diritti umani e il diritto sovranazionale. L’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini, giunta al 15esimo sciopero della fame per chiedere la completa approvazio- ne della riforma entro questa legislatura, ha chiesto pubblicamente al ministro della Giustizia Andrea Orlando e il presidente del consiglio Paolo Gentiloni di dire come stanno realmente le cose, se per davvero rischia di non passare la riforma. La Bernardini ha anche fatto notare il rischio, oramai quasi inevitabile, che la riforma venga approvata comunque incompleta. Sì, perché, ricordiamo, il Consiglio dei ministri aveva approvato preliminarmente solo una parte dei decreti, tralasciando quelli che riguardano la giustizia riparativa, quella minorile, l’affettività e il lavoro. Per quanto riguarda gli ultimi due, non erano stati presi in considerazione, perché mancava ancora l’approvazione della legge di bilancio. Cosa che intanto è avvenuta e le risorse finanziarie, sepmembri pur esigue, ci sono. Nell’articolo 44 della legge di Bilancio, infatti, c’è un capitolo specifico dove si prevede l’assunzione di 296 assistenti sociali per potenziare l’esecuzione penale esterna e, relativamente all’attuazione dell’ordinamento penitenziario e al processo penale, una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2018, 20 milioni di euro per l’anno 2019 e 30 milioni di euro a decorrere dal 2020. Ma nulla da fare, oramai questi decreti sono rimasti nel cassetto.

Sono più di 5.600 i detenuti e i loro familiari che fino ad ora hanno aderito all’azione nonviolenta promosso dal Partito Radicale. C’è stata una promessa da parte del governo sull’attuazione della Riforma e l’aspettativa della popolazione detenuta dunque è molto alta. Come ha fatto notare più volte il filosofo Aldo Masullo sulle pagine de Il Mattino, i detenuti, attraverso le azioni non violente, hanno dimostrato di possedere un grado di civiltà maggiore rispetto ai cittadini liberi. I primi lottano non per il potere, ma per l’affermazione dei diritti di libertà dell’individuo e per un più rigoroso Stato democratico di diritto, mente una gran fetta dei secondi chiede punizioni esemplari, meno garanzie. Il paradosso vuole che all’interno dei penitenziari, ci sia fermento liberale. Il ruolo delle battaglie radicali è stato centrale, soprattutto per far capire ai detenuti il valore dell’azione non violenta. Ma se la riforma dell’ordinamento penitenziario non dovesse trovare luce, gli effetti potrebbero essere molto gravi. A partire dai suicidi.

Sì, perché dall’inizio del nuovo anno, già sei detenuti si sono tolti la vita: l’ultimo nella notte tra venerdì e sabato nel carcere di Lecce, dove un 59enne di nazionalità marocchina si è impiccato. Su quest’ultimo punto l’esponente del partito radicale Rita Bernardini spiega a Il Dubbio che «nella situazione attuale delle nostre carceri è difficile prevenire i suicidi perché, da un lato, sono carenti proprio le figure professionali come gli psicologi che meglio sanno riconoscere gli stati di profondo disagio e disperazione e, dall’altro, perché un’altissima percentuale di reclusi è affetta da problemi psichiatrici e di tossicodipendenza. Anche per il target più a rischio, quello dei nuovi giunti che fanno la prima esperienza con il carcere, avere colloqui con gli psicologi è pressoché un miraggio». Sempre Rita Bernardini aggiunge: «Inoltre, con la nuova vice- presidenza del Dap del Dott. Marco Del Gaudio, si è tornati molto indietro sulla trasparenza relativa alla vita dentro gli istituti, basti pensare – ed è solo un esempio – che è stato dato ordine ai direttori di non compilare più i questionari che presentavamo in occasione delle nostre visite per conoscere dati sulle professionalità presenti e sugli eventi critici quali i suicidi e gli atti di autolesionismo» .