Lo dice, polemicamente, lo stesso Roberto Maroni: «È cambiato il mondo». Mai sintesi più corretta, quella del quasi ex governatore leghista della Lombardia, che attacca frontalmente la punta di diamante delle liste della nuova Lega di Matteo Salvini, l’avvocata romana Giulia Bongiorno. Lei, battagliera ex deputata di Alleanza Nazionale e legale del democristiano Giulio Andreotti, nella sua prima intervista da candidata tira in ballo proprio il suo illustre assistito: «Questa Lega nazionale e concreta l’avrebbe approvata anche Andreotti. Quella che si preoccupava solo del Nord no». Proprio il giorno dopo la presentazione in pompa magna nell’aula stampa della Camera, arriva la bordata nordista di Maroni, che parla con la libertà di chi non deve essere ricandidato: «E’ davvero cambiato il mondo: io e Bossi quelli come Andreotti li abbiamo sempre combattuti». Lapidario e feroce, il tweet apre la strada alla polemica tra vecchia e nuova Lega, bossiani e maroniani contro salviniani. La diretta interessata, lanciata nel suo ruolo di capolista, tira dritto: «Io ministro della Giustizia? Se mai qualcuno me lo chiederà poi risponderò a loro». Risposta sibillina in stile andreottiano, che Bongiorno tira in ballo appena può. Di se stessa dice «sono andreottiana» e di lui spiega: «Andreotti si sarebbe fatto spiegare, poi non avrebbe risposto nulla, poi dopo un mese avrebbe detto una cosa dalla quale io avrei potuto capire se approvava o no. Andreotti mi ha insegnato di aspettare fino all’ultima pagina prima di dire se una cosa è buona o cattiva». Al CorriereLive, l’avvocato ha annunciato le ragioni della sua candidatura: «Fare battaglie su giustizia, sicurezza e violenza contro le donne», per poi liquidare in modo distaccato la frecciata di Maroni e restituire la stoccata ai lumbard di primo corso: «Non mi vedrete con l’ampolla del Po». Parole dolci solo per Salvini, che «non è razzista. Con lui ho parlato di donne e legittima difesa e l’- ho trovato una persona molto umile».

Al netto del valzer di nomi in lista, la coalizione di centrodestra perde un primo pezzo. Il più piccolo, ma anche quello nato per bilanciare le istanze di Lega e Fratelli d’Italia: Noi con l’Italia, la cosiddetta “quarta gamba” centrista, si è sfilata all’indomani della chiusura del programma e, soprattutto, della distribuzione dei seggi. «Siglare l’accordo nel centro destra sarebbe un errore madornale», ha affermato l’Udc Angelo Cera: «Andiamo da soli e superiamo il 3%. Meglio soli che male accompagnati». In realtà, più che un problema politico, la questione riguarda la ripartizione dei collegi uninominali. Loro ne chiedevano 40, l’offerta di compromesso, rifiutata, ne prevedeva solo 20. Il programma, invece, dopo il faticoso lavoro di limatura nelle stanze di Palazzo Grazioli, soddisfa tutte le parti dell’alleanza. «Ci sono la flat tax, l’azzeramento della legge Fornero, impegno per l’espulsione dei clandestini e legge sulla legittima difesa», ha anticipato Matteo Salvini, cui ha fatto eco lo stesso Silvio Berlusconi, particolarmente attento al punto sulla fiscalità. «La flat tax è un cambiamento radicale del rapporto tra i cittadini e lo Stato: io la volevo proporre già nel 1994. Noi intendiamo partire con il 23% ma con la voglia e l’intenzione di ridurla via via». E il Cavaliere si lascia andare anche a ipotesi sulla composizione del governo: «12 ministri, di cui quattro dal mondo dell’università, dell’impresa e del terzo settore e solo otto dalla politica». E allo stesso tavolo gli alleati hanno parlato anche del “nodo” Lazio: se in Lombardia l’accordo sul leghista Fontana è chiuso, manca ancora un nome da opporre al governatore Pd uscente Nicola Zingaretti nel Lazio. Mentre il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi continua per la sua strada in solitaria, tra i nomi in lizza prende quota quello di Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia. Alla finestra, però, rimane il forzista Maurizio Gasparri, che non rinuncia a seminare dubbi: «Ho assistito a un litigio tra Lega e Fratelli D’Italia su Rampelli. Un nome ottimo, ma non c’è accordo. Io se serve sono pronto».