Ancora banche. Dimenticata banca Etruria, in campagna elettorale irrompono le banche popolari. Archiviate le accuse di pressioni da parte di Maria Elena Boschi, ora nell’occhio del ciclone c’è la conversazione tra Matteo Renzi e Carlo De Benedetti. L’intercettazione - risalente al 2015 - è tra De Benedetti e il suo broker e l’ingegnere gli comunica di essere a conoscenza della trasformazione delle popolari in s. p. a. per decisione del governo, confermatagli in una conversazione dall’allora premier Matteo Renzi. Sulla base di questa informazione, De Benedetti avrebbe investito 5 milioni e ottenuto 600 mila euro di plusvalenze.

Il Movimento 5 Stelle attacca con Luigi Di Maio che lancia l’hashtag # noivogliamosapere e attacca «L’intercettazione tra Carlo De Benedetti e il suo intermediario finanziario è il capolinea di Matteo Renzi e del Pd. Siamo di fronte al collasso di un sistema di potere familistico e amorale, costruito su scambi di favori, informazioni privilegiate e speculazione finanziaria», Renzi si limita a definire le accuse «l’ennesima puntata di un film che continua a ricamare su questi temi» e De Benedetti affida a una nota il suo commento: «Nessun abuso di informazione privilegiata. L’approvazione della norma era ampiamente nota, al punto che Ubs aveva tenuto una conferenza stampa sul tema due settimane prima» ( l’Ansa ne scrive il 3 gennaio 2015, ripresa da Repubblica. Il decreto viene approvato il 20 gennaio). Accanto alle reazioni degli attori politici, la vicenda solleva nuove conseguenze giudiziarie.

La telefonata intercettata e pubblicata sui giornali nei giorni scorsi, infatti, rientra in un blocco di atti secretati, che la Procura di Roma e la Consob avevano depositato in commissione Banche e l’ennesima divulgazione ha mandato su tutte le furie il procuratore capo Pignatone. Dopo la circolare contro la fuga di informazioni dalle scrivanie dei suoi sostituiti procuratori, infatti, il procuratore capo di Roma non ci sta a vedere il suo ufficio di nuovo al centro di uno scandalo politico e preannuncia alla commissione parlamentare sulle Banche una richiesta formale di informazioni sui nomi dei commissari che hanno avuto accesso agli atti finiti sui giornali. Ieri, inoltre, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo contro ignoti per rivelazione di segreto d’ufficio. Il messaggio della Procura è chiaro: dagli uffici dei pubblici ministeri l’intercettazione non è uscita, dunque la fonte deve essere necessariamente annidata nelle maglie della commissione che ha ricevuto le carte.

L’INCHIESTA

I contenuti dell’intercettazione, del resto, erano già stati vagliati prima da un’inchiesta della Consob archiviata e poi da una della Procura della Capitale, anch’essa archiviata su richiesta del pm, perchè «nella vicenda nessuno a commesso reati». L’ipotesi riguardava il reato di insider trading, regolato dal Testo Unico della Finanza ( che punisce chi pone o fa porre in essere operazioni su strumenti finanziari sulla base di informazioni privilegiate detenute in virtù della propria posizione), ma secondo gli inquirenti la conversazione sulle popolari tra De Benedetti e Renzi che lo stesso De Benedetti riferisce al brocker nella telefonata intercettata è una semplice chiacchierata. Come riportato nella richiesta di archiviazione, infatti, si evince dalle parole intercettate di De Benedetti che l’ingegnere non ha ricevuto informazioni riservate sui tempi di approvazione del decreto sulle popolari, nè il fatto che si trattasse di un decreto e non di un disegno di legge. Dettaglio, questo, che se noto avrebbe condizionato la tempistica di approvazione.

In merito ai 5 milioni investiti e ai 600 mila euro di plusvalenze maturati, la Procura aveva anche disposto una perizia sulle operazioni finanziarie di De Benedetti, il cui risultato avvalora la richiesta di archiviazione. I periti, infatti, notano come le movimentazioni in entrata e in uscita dell’editore di Repubblica ammontavano a 600 milioni di euro, dei quali solo 5 vengono investiti su sei banche popolari. Dunque, secondo la consulenza tecnica, se l’imprenditore avesse avuto notizie certe sul decreto e dunque sulla lucratività dell’operazione, avrebbe certo scommesso una cifra molto più consistente sulle popolari e non solo qualche briciola, rispetto all’intero patrimonio investito.

Briciole o tesori in tasca a De Benedetti, l’intercettazione telefonica contro Renzi piove come un macigno sulla campagna elettorale in corso. Ma se anche la Procura aveva a suo tempo richiesto l’archiviazione per i fatti in quanto non costituenti reato, rimane aperto un tema: la facilità con la quale si squarcia il velo sugli atti secretati e nella disponibilità delle commissioni d’inchiesta, che diventano, all’occorrenza, provvidenziali armi politiche.