Qualche giorno fa in Sicilia, a Pachino, hanno messo una bomba, che è esplosa, sotto l’automobile dell’avvocata Adriana Quattropani. Probabilmente è stata la mafia. La notizia è stata riportata dai giornali locali e dal Dubbio. Punto. Mettiamo l’avvocato in Costituzione

Ho provato a immaginare cosa sarebbe successo se avessero fatto saltare l’automobile di un magistrato. O addirittura di un giornalista. Penso che la notizia avrebbe conquistato la prima pagina di tutti i giornali. Alcuni giornali le avrebbero dedicato il titolo principale della prima pagina e svariati commenti. Sarebbe intervenuto il governo. Qualcuno avrebbe chiesto al Parlamento di varere una nuova legge ad hoc. Forse ci sarebbe stato uno sciopero di qualche ora. Il ministero avrebbe dato ordine alla questura di Caltanissetta di mettere sotto scorta la magistrata o la giornalista ( ci sono molti giornalisti che sono sotto scorta anche se non hanno mai subito nessun attentato).

Nel caso dell’avvocata invece non è successo niente di tutto questo. E immagino che a parte qualche migliaio di siciliani della provincia di Caltanissetta, e i lettori del Dubbio, nessun altro sia a conoscenza del fatto. Del resto negli ultimi mesi, sebbene non si abbiano notizie, per fortuna, di attentati a magistrati e giornalisti ( i primi, giustamente, sono abbastanza protetti, i secondi, saggiamente, non sono considerati affatto pericolosi, come era una volta) si hanno invece diverse notizie di attentati agli avvocati.

Un avvocato, addirittura è stato ucciso, a Lamezia Terme. Un’altra avvocata è stata ridotta in fin di vita a Milano. Il sistema informazione è pochissimo interessato a questi fatti, perché molto raramente il sistema informazione trova “complicità”, ( o offre complicità) nel mondo forense, mentre invece, molto spesso, le trova e le offre nel mondo della magistratura.

Negli ultimi anni l’alleanza di ferro tra magistrati e giornalisti ha messo gli avvocati in una condizione difficile. Esiste una parte della magistratura che considera l’avvocato come il nemico da battere. E il lungo anno che ha visto Piercamillo Davigo alla testa della associazione nazionale magistrati ha aggravato questa condizione. Ora le cose sono un pochino cambiate, con l’elezione di Eugenio Albamonte al vertice della Anm e la definizione della sua linea che vede nella collaborazione tra avvocati e magistrati la via giusta per migliorare il funzionamento della giustizia. Ma la linea di Albamonte, sebbene sia la linea ufficiale dell’associazione ( e anche del Csm), non è certo maggioritaria in quel pezzo di magistratura che costituisce il nocciolo duro dell’alleanza coi giornalisti. Cioè quella più potente e più vistosa mediaticamente.

E’ chiaro che il problema della tutela degli avvocati, sia dal punto di vista pratico - e persino fisico sia dal punto di vista “ideale”, si pone con urgenza. Quello che si è appena chiuso è un anno di grandi conquiste per la categoria ( che ha ottenuto l’equo compenso, la modifica dei parametri forensi, il legittimo impedimento per le avvocate in gravidanza, e ha sventato la minaccia di alcune controriforme della giustizia che avrebbero indebolito lo stato di diritto). Resta però aperto il problema di chiarire, a livello di massa, il ruolo dell’avvocato nella società. Non è facile far passare l’idea che l’avvocato non è una appendice dell’imputato, e dunque, forse, del colpevole. Ma è una figura autonoma e decisiva per il funzionamento di una giustizia libera e fondata sulla prevalenza del diritto.

L’idea che si va diffondendo sempre di più, grazie alla deriva giustizialista che sta travolgendo giornalismo e intellettualità, è che il valore della legalità sia tanto più forte quanto più sono numerose le condanne penali e quanto più sono severe le pene. E dunque è bene indebolire il ruolo e il potere dell’avvocato. E’ difficilissimo spiegare che non è così. La legalità è esattamente l’opposto dell’idea autoritaria e repressiva che sta dietro il giustizialismo, e che è la linfa di tutte le ideologie totalitarie. Il valore della legalità sta nella certezza del diritto, nella difesa dei diritti civili, nella limpidezza e lealtà delle regole di funzionamento del processo. Non esiste nessuna idea di legalità che possa prescindere dal concetto che la giustizia si afferma nei processi ( e non nei sospetti o nei linciaggi mediatici) e che il processo deve svolgersi in una condizione di assoluta parità tra accusa e difesa. Proprio per questa ragione la figura dell’avvocato, cioè del rappresentante e del protagonista della difesa, ha una rilevanza assoluta nella affermazione di una società fondata sulla legalità. Tanto più è debole la figura dell’avvocato, tanto meno è forte il valore della legalità.

Per questo gli avvocati, e in particolare il Cnf, si sono posti l’obiettivo di “costituzionalizzare” la figura del difensore. In modo da riequilibrare il rapporto con l’accusa e soprattutto in modo da chiarire il ruolo e l’importanza assoluta dell’” istituzione- avvocato”. La proposta è quella di riformare l’articolo 111 della Costituzione, quello che regola il giusto processo, con una piccola modifica dopo il secondo comma, introducendo un paio di frasette, brevi ma molto importanti: “ Nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati (...) L’avvocato esercita la propria attività professionale in posizione di libertà e di indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense”.

Non è una necessità burocratica. Non è un dettaglio. È una affermazione di principio e l’inizio di una battaglia. L’inizio? Sì, perché poi si dovrà ottenere un altro risultato: che l’articolo 111 della Costituzione sia applicato davvero e diventi senso comune. Oggi l’articolo 111 è una bellissima affermazione di principio, che sta lì, abbastanza lontano dalla pratica, dal senso comune e anche dalla conoscenza dell’intellighenzia, che in genere non ne sospetta nemmeno l’esistenza.