Anche se Pietro Grasso non lo ha detto nel discorso di avvento, con la minuscola, alla guida del nuovo movimento della sinistra italiana, anche se la domenica liturgica era proprio quella dell’Avvento, con la maiuscola, il solito Fatto Quotidiano glielo ha messo quasi in bocca col titolo di prima pagina in cui si parla di un Pd che “voleva comprarlo”. Cioè corromperlo perché non gli si mettesse contro. E a quale prezzo? Offrendogli quali “posti”, sempre nella traduzione travagliesca - da Travaglio - delle parole del presidente del Senato?

Al prezzo di alcuni “seggi sicuri”, ha detto Grasso, quello autentico, parlando naturalmente di seggi parlamentari e di relative candidature fra cui scegliere: quelle giornalisticamente definite blindate, come capitò ad un altro magistrato famoso, Antonio Di Pietro. Che fu candidato al Senato nel 1997 al Mugello dai post- comunisti, pur non essendo lui certamente di sinistra. Roba vecchia, d’accordo, ma sempre buona a ricordarsi e a ricordare.

Pure Grasso, d’altronde, è approdato dalla magistratura alla politica senza i rischi di una vera competizione, contendendo davvero il seggio a qualche temibile concorrente. Non fu certamente corruzione quella esercitata sull’ex magistrato dall’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani offrendogli cinque anni fa, proprio di questi tempi, una candidatura senatoriale.

Che era in quel momento non blindata ma blindatissima, essendo in vigore il sistema delle liste bloccate instaurato con una legge elettorale passata giustamente alla storia col nome di Porcellum, per la cui traduzione in italiano non occorre una laurea in lettere.

Circostanze politiche, credo, irripetibili consentirono poi a Bersani di giocare la carta di Grasso anche per la presidenza del Senato, all’inizio della legislatura e all’inseguimento di un aiuto o aiutino dei grillini nella costruzione di un governo “di minoranza e di combattimento”. Fino a quando l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non si spazientì e non tolse al segretario del Pd quello che si scoprì solo allora essere stato non un incarico, ma un pre- incarico a presidente del Consiglio.

Poi le cose, fuori e dentro il Pd, andarono come andarono, sino alla scissione a sinistra consumata dallo stesso Bersani, col quale Grasso si è ricongiunto mettendosi alla testa di “Liberi e uguali”, senza tuttavia lasciare, oltre al Pd, la presidenza del Senato.

Sul piano strettamente personale Grasso si è comportato con Bersani con lealtà e fedeltà rare in politica. Ma sul piano istituzionale il discorso è diverso perché la neutralità imposta al presidente di un’assemblea legislativa in qualche modo ne soffre. Grasso e i suoi amici hanno ragione a ricordare l’immutato impegno politico di alcuni presidenti della Camera succedutisi nella prima e nella seconda Repubblica. Ma al presidente del Senato è richiesto qualcosa in più dal ruolo di capo supplente di Stato che la Costituzione gli assegna in caso di necessità.