Formazione all’interno dell’avvocatura sul valore del diritto penitenziario, sensibilizzazione della società civile, conoscenza della “Carta nazionale dei diritti della persona detenuta o della persona privata della libertà personale”, supporto legale per il Garante. Questi sono i pilastri portanti del protocollo d’intesa sottoscritto ieri mattina da Emilia Rossi, componente dell’Ufficio del Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà personale presieduto da Mauro Palma, e dal presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin. Una reciproca collaborazione volta a promovuore ed incentivare, anche per il tramite delle fondazioni del Consiglio, degli Ordini territoriali degli avvocati e dei Garanti regionali o locali, l’iniziativa sullo stato della detenzione in Italia e la formazione su temi dell’esecuzione della pena. Un patto, quindi, tra due istituzioni di garanzia elevate, rappresentate dall’avvocatura e dal Garante nazionale. «La formazione all’interno dell’avvocatura sul valore del diritto penitenziario è di vitale importanza – spiega al Dubbio Emilia Rossi – , perché è stato poco approfondito nell’università e anche nella pratica forense. Anche se – aggiunge – da un po’ di tempo c’è maggiore attenzione verso le tematiche penitenziarie». Emilia Rossi spiega anche il perché: «A cominciare dalle università si sta aprendo un canale di attenzione privilegiata sull’esecuzione della pena. In un momento in cui l’avvocatura esce da una situazione di crisi, la specialità del diritto penitenziario comincia ad essere considerata una materia in cui ci si può qualificare e quindi far valere la propria competenza».

Il primo obiettivo del protocollo è finalizzato, quindi, alla formazione. Andrea Mascherin, a tal proposito, ha proposto un corso iniziale nella sede del Consiglio nazionale forense, che servirà per elaborare un modulo da far girare presso tutto il mondo dell’avvocatura. «Altro obiettivo – spiega sempre Rossi – è quello dell’informazione, rivolta non solo all’avvocatura, ma potenzialmente con una portata più generale, sul valore delle garanzie nell’esecuzione della pena che coinvolge l’istituzione del Garante nazionale, fino ad arrivare ai Garanti regionali e locali». L’obiettivo, quindi, è informare che esistono nel nostro Paese una rete di garanzie costruite in organismi istituzionali. «Non ci sono soltanto le associazioni e i partiti, rari, che fanno un lavoro egregio e meritovole ma con un potere ovviamente limitato – sottolinea Emilia Rossi -, per questo bisogna far conoscere l’esistenza dell’istituto del Garante che ha l’obiettivo della soluzione delle problematiche in termini concreti e in via di collaborazione interna tra le amministrazioni». Rossi tiene a specificare che il Garante non è un organo di denuncia delle situazioni critiche, ma di risoluzione dei problemi. Un organo che monitora il rispetto dei diritti, senza aver bisogno di chiedere l’autorizzazione presso le sedi competenti, né preavvisare i luoghi dove c’è privazione della libertà. Luoghi che non riguardano soltanto gli istituti penitenziari. «Non visitiamo solo i luoghi di detenzione dove c’è un provvedimento giudiziario – spiega Emilia Rossi -, ma anche le strutture de facto private della libertà». Punto sottolineato anche nel protocollo d’intesa che promuove l’approfondimento delle competenze in materia di diritto dentro e fuori i luoghi di detenzione, nonché nelle strutture dove c’è privazione di libertà. «Ci sono due situazioni di privazione de facto della libertà – pone come esempio Emilia Rossi –, l’hotspot che serve per identificare gli immigrati dove non c’è nessun provvediemento giudiziario o amministrativo, ma di fatto gli immigrati vivono in una stiuazione di costrizione, e il trattamento sanitario obbligatorio quando la persona vi viene sottoposta prima di una convalida da parte del magistrato».

Il terzo obiettivo del protocollo d’intesa è il progetto riguardante la tutela dei diritti delle persone detenute. Anche in questo caso si tratta d’informazione, ma indirizzata principalmente alle persone ristrette. «Una problematica che noi abbiamo molto spesso rilevato durante i nostri monitoraggi – spiega Rossi – è che manca il regolamento interno, per questo i detenuti vivono in una situazione di grande disagio: non sono a conoscenza delle regole alle quali attenersi, sono quindi esposti all’arbitrio». C’è una necessità da parte della popolazione detenuta di essere informata dei diritti inderogabili e degli strumenti per farli valere. Il presidente del consiglio nazionale forense Andrea Mascherin propone, quindi, l’elaborazione di un piccolo vademecum, magari come integrazione della Carta dei diritti dei detenuti già esistente.

Il quarto obiettivo, invece, riguarda un sostegno legale fornito dal Cnf per l’ufficio del Garante nazionale. Nello specifico si tratta di costituire una rete nazionale composta da avvocati referenti, individuati su base locale degli Ordini territoriali degli avvocati, che fornisca assistenza legale pro bono al Garante nei procedimenti penali ai quali è interessato come parte. «Com’è noto – spiega Emilia Rossi – noi siamo intervenuti costituendoci come persona offesa in tutti i casi di suicidio dall’inizio dell’anno fino ad oggi, e siamo già stati parte civile in un procedimento a Trento per ipotesi di maltrattamento. In tutte queste situazioni in cui il Garante interviene in procedimenti penali – conclude Rossi –, possiamo quindi contare sull’assistenza legale fornita dal Consiglio nazionale forense».