L’autorithy, secondo il guardasigilli, non valuta «il fatto che nelle professioni si è già determinata una profonda distorsione del mercato dovuta a soggetti che sono in grado di imporre nei fatti le tariffe». Ecco perché, aggiunge il responsabile della Giustizia, «invitiamo l’Antitrust ad una più attenuata considerazione di questo tema». Replica che sembra attestare la determinazione dell’esecutivo ad andare fino in fondo nel contrasto allo sfruttamento del ceto medio e alla mortificazione delle professioni. Orlando, in effetti, lo dichiara in modo esplicito: nel ricordare che «nei prossimi giorni produrremo una nostra analisi del fenomeno», il ministro che ha predisposto, a partire dal tavolo tecnico con il Cnf, le norme per avvocati ( poi estese a tutte le professioni), dice di ritienere «giusto spiegare il lavoro di riforma delle professioni, che è stato portato avanti senza cedere a logiche mercatiste e a una deregulation che non può che fare male ai professionisti e al mercato».

Una replica significativa: lascia intendere che la scelta di tutelare il lavoro autonomo non è estempora- nea, e che proviene dalla presa d’atto delle distorsioni prodotte fin dalle lenzuolate di Bersani. D’altronde sull’equo compenso è l’intero esecutivo ad aver mostrato compattezza e convinzione. La decisione che ha consentito di inserire la norma nel decreto collegato alla manovra è venuta direttamente della segreteria del partito di Matteo Renzi, in particolare dalla responsabile Lavoro Chiara Gribaudo. La deputata dem ha risposto a sua volta all’attacco dell’Antitrust in una nota congiunta con il responsabile pd per la Giustizia, David Ermini: «I dubbi dell’Autorithy stravolgono la realtà, è vero esattamente il contrario: ad oggi i dati ci dicono che alcuni soggetti dotati di forte potere contrattuale, come banche e assicurazioni, riparandosi dietro la teoria della concorrenza, pagano in maniera irrisoria l’opera dei professionisti. Di fatto, è la logica del massimo ribasso applicata alla necessità e alla fame di lavoro delle persone». Non solo: «L’Antitrust con le sue valutazioni rischia di certificare la liceità di una sorta di caporalato dei professionisti come è dato oggi riscontrare nei fatti. Il mercato deve essere libero, ma non lo sfruttamento». Parole simili a quelle con cui lo stesso Orlando aveva presentato il ddl ordinario sulla materia, l’estate scorsa: anche lui aveva parlato del rischio di un «caporalato intellettuale».

Ed è anche il relatore di quell’originario disegno di legge, il deputato del Pd Giuseppe Berretta, a unirsi al coro di voci contrarie all’Autorità garante del mercato: «Il richiamo è immotivato perché la norma non prevede la reintroduzione delle tariffe minime» e «non si tiene conto della realtà in cui operano i professionisti, caratterizzata da un forte squilibrio del mercato». Proprio Berretta nei giorni scorsi ha proposto la sospensione dell’esame sul ddl equo compenso con un intervento in commissione Giustizia alla Camera, in cui ha ricordato l’approvazione delle stesse norme avvenuta a Palazzo Madama, all’interno del dl fisco. E proprio ieri l’aula di Montecitorio ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità al dl fisco, ora assegnato alla commissione Bilancio, con il democratico Giampiero Giulietti come relatore. Il parlamentare che aveva fatto da relatore allo stesso provvedimento collegato alla Manovra durante l’esame al Senato, Silvio Lai ( anche lui del Pd) chiarisce perché trova «immotivato» l’allarme per una reintroduzione di fatto delle «tariffe minime» arrivato l’altro ieri dell’Autorità garante del mercato: «Il contesto è differente, il Senato ha voluto tutelare i professionisti rendendo illegali pratiche improprie e clausole vessatorie come purtroppo è invece emerso in questi anni». Lai nota anche che, riguardo alla «estensione alla pubblica amministrazione del solo principio dell’equo compenso», ci si richiama «ad una norma prevista all’articolo 36 della nostra Costituzione: il Senato ha voluto richiamare lo Stato ad applicare esso stesso comportamenti e pratiche richieste a terzi». Un altro senatore che si è battuto molto per estendere il principio dell’equo compenso, Maurizio Sacconi, ricorda a propria volta come l’articolo 36 prevalga «su ogni ideologia mercatista». Anche più aspro il commento del presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, che definisce «inaccettabili» le opinioni dell’Antitrust sull’equo compenso, e suggerisce ai componenti dell’Autorità di «non proteggere una logica di concorrenza malata che sta producendo scempio sociale». Un parlamentare avvocato come il capogruppo di Ap nella commissione Giustizia di Montecitorio, Nino Marotta, si chiede «come si concilia la ratio degli studi settore, che significa una soglia minima di fatturazione da rispettare, con il regime di liberalizzazione rivendicata dall’Antitrust».

A segnalare l’attesa maturata ormai nel mondo delle professioni per le norme a tutela dei compensi è il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri Armando Zambrano, che guida anche la Rete delle professioni tecniche: ricorda l’evento “Equo compenso, un diritto”, che si terrà domani a Roma al Teatro Brancaccio., e parla di ingiusta «bacchettata» dall’Autorità garante. Ma è sempre il ministro Orlando a far notare che «non si tratta di una bocciatura». Nel senso che, da parte dell’authority, «non c’è stato nessun provvedimento di carattere formale». Solo una lettera a premier e presidenti delle Camere che, viste le repliche, non dovrebbe modificare le sorti del provvedimento.