Una mobilitazione unitaria dell’avvocatura induce la maggioranza a ritirare l’emendamento alla Manovra che avrebbe esteso il rito sommario a tutti i processi civili celebrati dinanzi al giudice monocratico. Modifica che avrebbe potuto determinare una clamorosa riduzione delle garanzie e contro la quale si era espresso, compatto, l’intero mondo forense. Lo stesso governo ha riflettuto e discusso con i senatori di Alternativa popolare da cui era partita la proposta di modifica, con i quali è stato concordato un passo indietro, sollecitato anche dall’Associazione nazionale magistrati.

L’emendamento a firma Guido Viceconte era stato formalmente presentato dalla rappresentante di Ap in commissione Bilancio Simona Vicari. Analoga proposta era stata depositata dalla Lega e ritirata già nel pomeriggio di ieri. In serata il ripensamento dei centristi. Di fatto sarebbe rientrato dalla finestra della legge di bilancio uno stralcio della riforma del Codice di procedura civile, bloccata da mesi al Senato. Durante la seduta della commissione, però, il processo civile breve è stato terreno di scontro tra governo e maggioranza.

Nella pratica, l’emendamento prevedeva una semplificazione del rito di primo grado davanti al giudice monocratico: domanda proposta con ricorso ( contenente alcuni contenuti della citazione), il giudice designato fissa l’udienza di comparizione e assegna il termine di costituzione del convenuto non oltre 10 giorni prima dell’udienza. Ricorso e decreto vanno notificati 30 giorni prima e il convenuto si costituisce con il deposito della comparsa di risposta, nella quale indica le sue difese, i mezzi di prova e formula le conclusioni, oltre alle domande riconvenzionali ed eccezioni a pena di decadenza. Alla prima udienza il giudice sente le parti e ammette i mezzi di prova, procede agli atti di istruzione nel modo che ritiene opportuno e provvede con sentenza semplificata.

L’ipotesi di riforma ha però immediatamente suscitato le reazioni preoccupate da parte di avvocatura e magistratura. Il presidente del Consiglio nazionale forense, Andrea Mascherin, quando in serata si è appreso del ritiro, ha espresso «soddisfazione come prova di capacità di ascolto da parte del ministro della Giustizia, del governo e dei senatori». In mattinata lo stesso Mascherin aveva scritto a Orlando segnalando tutte le criticità della norma, tra le quali il fatto che «non comporterebbe vantaggi deformalizzare il processo eliminando tre memorie da scambiare entro 80 giorni poiché i colli di bottiglia riguardano la fase decisoria, che anche in un processo “sommarizzato”; la modifica del rito ha sempre aumentato il tasso delle liti sull’applicazione delle regole e di conseguenza allontanato la decisione sul merito», ha inoltre sottolineato che «è rischioso costringere le parti ad affrontare un processo con regole affidate alle imprevedibili scelte del giudice, secondo uno schema che, se può forse in linea di pura teoria andare bene per le cause più semplici, mette seriamente a repentaglio i diritti di chi si affida alla giurisdizione», infine ha evidenziato come la deformalizzazione «costringerebbe ad inserire nell’atto introduttivo deduzioni e richieste inutili e sovrabbondanti, ma formulate nell’incertezza circa la possibilità di fruire di ulteriori spazi difensivi, con ciò appesantendo e non snellendo il processo». Sulla stessa linea anche la presidente dell’Unione nazionale Camere civili, Laura jannotta, che ha espresso la «contrarietà a una riforma che non porterebbe ad alcun taglio dei tempi del processo» e di Ocf, Antonio Rosa, che ha ribadito come «l’emendamento mortifica il ruolo dell’avvocato e pregiudica l’effettiva tutela dei diritti. Di fatto tradisce lo spirito liberale del processo che ha il suo centro nel contraddittorio e che lascia alle parti la libertà, appunto, di dettarne i tempi entro un quadro di regole certe». Anche la magistratura associata ha bocciato il contenuto dell’emendamento, ribadendo come «le regole del processo non sono inutile orpello ma il modo con cui le parti concorrono, con ordine, alla decisione del giudice» e come «una seria riforma della giustizia civile deve porsi il vero problema del cosiddetto “collo di bottiglia”, rappresentato dal momento della decisione, il cui spazio, spesse volte, per la complessità e delicatezza delle vicende processuali, non tollera di essere soffocato da tempi contingentati se non a scapito della qualità della risposta alla domanda di giustizia».