Instancabile, cerca il cuore di una sinistra che – ammette – «pecca di indeterminatezza» ma rimane comunque la maggiore forza di rinnovamento per il Paese. Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione e professore di Storia del diritto, analizza la sconfitta in Sicilia e guarda alla prossima campagna elettorale con una scommessa: «Il Pd vincerà se ritrova l’unità della sinistra e riuscirà a parlare a chi si è astenuto». Professore, che cosa deve insegnare al Pd la sconfitta siciliana? Mi faccia analizzare ciò che è successo: perdere in Sicilia, purtroppo, non è una novità. Fatte salve le scorse regionali in cui abbiamo beneficiato della divisione dei nostri avversari, in Sicilia ha sempre prevalso la destra moderata, soprattutto oggi in cui l’incertezza porta ad aggrapparsi alle certezze del presente. Oggi, in un clima di così gravi turbolenze, la storia insegna che l’elettorato tende ad assestarsi su una linea più conservatrice. Non teme sia un’avvisaglia per le prossime elezioni politiche nazionali? Proprio vista la peculiarità siciliana, io credo che l’esempio isolano non faccia testo in assoluto. Provocatoriamente le dico: perché avremmo dovuto vincere noi, proprio oggi che il Pd si ritrova un po’ malconcio e sta cercando di rimettersi sulla retta via? Attenzione, però, perché ciò non significa affatto rassegnarsi né cercare facili giustificazioni. Lo ha detto lei: il Pd riparte un po’ malconcio…  Guai a noi, se ci abbandoniamo a giustificare deterministicamente la sconfitta come inevitabile: sarebbe inutile allora fare politica. Ora bisogna ripartire da ciò che sappiamo e cambiare ciò che non va. Cominciamo da ciò che il Pd ancora sa.  La sinistra moderna ha i capisaldi nella libertà, nel lavoro e nel superamento delle disuguaglianze. Valori intramontabili, che tuttavia non ci mettono più al riparo dall’invecchiamento: per questo dobbiamo imparare a declinarli con le parole dell’oggi. E invece che cosa c’è da cambiare?  Questo ce lo indica la Sicilia. Una parte del nostro corpo elettorale tradizionale, più che disperdersi votando a destra o al vuoto pneumatico dei grillini, potrebbe aver scelto il rifugio dell’astensione. Una scelta, questa, che ha una qualche coerenza di non contaminazione e nello stesso tempo di non voto a ciò che non piace. In una frase: «Non voto Pd, ma non tradisco». Ecco, sono questi astenuti che il Pd deve ritrovare. Ma è proprio sicuro che il Movimento 5 Stelle non abbia racimolato nulla tra le vostre fila?  Forse qualcosa. Guardi però, io voglio pensare che l’elettorato tradizionale della sinistra non si sia fatto ammaliare da queste stelle spente. Basta passeggiare per le strade di Roma e di Torino, cercando negli angoli il segno della presenza delle due sindache, per scoprire che la loro amministrazione ha un solo tratto caratterizzante: la non esistenza. Non esistono perché non sanno che cosa si deve fare e non sanno fare. Noi per diventare amministratori abbiamo lavorato, studiato, sbagliato, ricominciato, dedicato i giorni e le notti. Io capisco che il voto siciliano sia suggestivo, ma lo è in egual misura quello dell’ultima tornata alle comunali, che ha avuto segno opposto. La destra che ha incassato la vittoria in Sicilia sostiene che l’avversario sono solo i 5 Stelle, però. Il Pd parte da outsider alle prossime elezioni? La destra fa una valutazione puramente strumentale. Vorrei dire con chiarezza che noi possiamo sicuramente vincere le prossime elezioni politiche. La Sicilia è un’eccezione e lo è stata per tutta la sua storia, per questo oggi noi del Pd non possiamo permetterci di fare gli uccelli del malaugurio con previsioni meste e non documentate. Del resto, io sono caratterizzato da un superficiale e incorruttibile ottimismo e sono sicuro che un inizio di lavoro per colmare le contraddizioni interne al Pd ci possa consentire di recuperare il terreno perso. Lei dice che il Pd può vincere, ma con quali argomenti convincerà gli elettori? Innanzitutto bisogna presentare un progetto di governo credibile. Contemporaneamente, però, dobbiamo ridefinire anche la nostra identità. Mi spiego meglio: l’elettorato deve percepire, in particolare gli astensionisti, che la sinistra vuole aprire e rinnovare il Paese. Di contro, il rifugio moderato sta piano piano spingendo l’Italia in posizione minoritaria in Europa e, sulla strada della conservazione, rischiamo persino di perdere buona parte del nostro welfare. Per questo dobbiamo coltivare i nostri ideali di sinistra e riprenderci i nostri temi: come può funzionare l’economia non finalizzata solo al profitto ma anche ad un elevamento complessivo delle condizioni generali? In che modo una nuova idea di educazione dei cittadini può favorire il processo di generale emancipazione popolare? Parliamo di come si combattono l’ingiustizia e la povertà, così torneremo a rispondere alle esigenze dei nostri elettori. Oggi, però, il fantasma della sinistra si chiama “coalizione”, un’ipotesi che più si ripete e più sembra allontanarsi. Al contrario, la coalizione va assolutamente fatta. Mettiamocela tutta a portare insieme tutti i soggetti riformisti e di sinistra: con alcuni abbiamo collaborato, altri si sono arrabbiati con noi, altri ancora hanno cercato altre strade. Ma l’unità è la chiave. Eppure, le porte sembrano più chiuse che aperte.E’ necessario che ci sia disponibilità a discutere da parte di tutti, non imponendo nulla agli altri. Le dico anche che le ultime frasi di Matteo Renzi mi fanno ben sperare in questo senso. Ecco, puntiamo energicamente in questa direzione, apriamo alla ragionevolezza, sapendo che se si fa la coalizione ciascuno deve rinunciare ad un pezzetto di se stesso. Quindi lei vede possibile l’alleanza Pd- Mdp- Pisapia?  Non mi pare impossibile. Io credo che si possa cercare la convergenza comune sui temi programmatici, oltre che sulle persone. Apriamo questa discussione senza paure: oggi, i grandi leader sono quelli capaci di conservare una funzione di guida, non imponendola ma riconquistandola continuamente, con l’autorevolezza e ragionevolezza delle loro posizioni. Il suo è un consiglio a Renzi? Non me la sento proprio di consigliare Matteo Renzi. Mi sento però di dire una cosa, pur se rasenta l’ovvio: troviamo consenso sui temi, valorizziamo ciò che abbiamo fatto, cogliamo lo slancio che ancora può essere propulsivo. Io ho percepito che le idee esistono e che si sente da ogni parte della sinistra l’urgenza di passi in avanti, per riconquistare il nostro ruolo.