Mafia non c’è, ma gli strascichi di “Mafia capitale” non sono finiti. A rimanere impigliato nella rete è il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, pronto a candidarsi nuovamente alla guida della regione alle amministrative del 2018. Insieme a lui, altre 27 persone sono state iscritte nel registro delle notizie di reato da parte della Procura di Roma: l’ipotesi di reato è falsa testimonianza, in merito alle dichiarazioni rese durante il processo sul “Mondo di mezzo”. Per ora i pm mantengono riserbo sull’evoluzione della vicenda: ciò che si sa è che dovranno valutare su richiesta del collegio di “Mafia capitale” se, analizzando i verbali d’udienza, Zingaretti abbia detto il falso quando a dichiarato di non aver avuto «alcun contatto con chiunque per la gara Cup» ( filone d’inchiesta scaturito da Mafia capitale in seguito alle dichiarazioni di Buzzi, per il quale è stato assolto il suo braccio destro, Maurizio Venafro) di cui ha detto di essersi occupato «solo a livello politico nella fase di programmazione». Stessa ipotesi di falsa testimonianza anche per la parlamentare Pd Micaela Campana, a sua volta indagata insieme all’ex viceministro Filippo Bubbico perchè, «sebbene abbia decisamente negato collegamenti diretti di Buzzi con Bubbico e l’interessamento di Bubbico alle vicende in esame», la sua lunga testimonianza - secondo i giudici - «risulta in diversi punti poco credibile», «stanti gli immotivati “non ricordo” della teste», tanto da farla sospettare «di reticenza e falsità».

Immediati sono arrivati gli attacchi del Movimento 5 Stelle, con un post sul blog di Grillo che parla di Zingaretti come di un «personaggio con ombre e beghe», a cui fanno eco i parlamentari romani Paola Taverna ( «fatti gravissimi» ), Carla Ruocco, Luca Fusone e Roberta Lombardi, candidata M5S per la Regione, che definisce la ricandidatura di Zingaretti «di per se molto preoccupante».

I FATTI

Nicola Zingaretti viene chiamato a rendere testimonianza durante il processo di Mafia Capitale dalla difesa di Salvatore Buzzi e il governatore si presenta nell’aula bunker di Rebibbia il 19 ottobre 2016. La deposizione verte sulla gara per l’assegnazione del servizio Cup ( centro unico prenotazioni) e Zingaretti si avvale della facoltà di non rispondere, in quanto indagato in un procedimento connesso. Nel 2015, infatti, lo stesso Buzzi, in una deposizione dal carcere, aveva affermato di aver saputo da terzi che Zingaretti e altre figure politiche laziali si sarebbero spartiti somme illecite, proventi dalla vendita del Palazzo della Provincia di Roma e tangenti per un appalto nell’assegnazione del servizio Cup, istituito dalla Regione Lazio nel 2014. Zingaretti, indagato sulla base delle parole di Buzzi per corruzione e turbativa d’asta, aveva a sua volta denunciato per calunnia Buzzi, chiarendo la sua posizione in consiglio regionale: «Ora chi è accusato, accusa dal carcere. Si è determinata una situazione paradossale in cui sarei stato chiamato a giustificarmi delle false accuse mosse da Buzzi, quando dovrebbe essere lui a spiegare perché me le ha rivolte. Chiederò io stesso di essere sentito come testimone nel processo per calunnia coseguente alla mia denuncia nei confronti di Salvatore Buzzi», aveva dichiarato all’epoca dei fatti. Il procedimento contro Zingaretti si conclude il 7 febbraio 2016 con l’archiviazione per tutte le ipotesi di reato, chiesta dalla stessa Procura.

A questo punto, cessate le ragioni che giustificavano la sua facoltà di non rispondere, la difesa di Buzzi richiama Zingaretti a deporre. Il 21 marzo il presidente si presenta in Aula, per rispondere in merito all’assegnazione del servizio Cup istituito nel 2014 dalla Regione Lazio ( una commessa da 90 milioni di euro sulla quale era stata compiuta, secondo quanto affermato da Buzzi, una «spartizione millimetrica» tra maggioranza e opposizione). Buzzi, infatti, aveva sostenuto di essere a conoscenza di un accordo a monte tra Zingaretti per bocca del suo ex capo di Gabinetto Maurizio Venafro, Francesco Storace ( la Destra) e Gramazio ( Forza Italia). Per la presunta spartizione, infatti, era finito già sotto processo Maurizio Venafro, il braccio destro di Zingaretti, assolto in primo grado per non aver commesso il fatto nel luglio 2016.

LA DEPOSIZIONE

Nicola Zingaretti, a porte chiuse, presta la sua deposizione e nega qualsiasi accusa. Evidentemente, però, i giudici della X sezione del Tribunale di Roma presieduti da Rosanna Ianniello non gli credono. A quanto si legge dal dispositivo emesso dopo la sentenza di Mafia capitale per trasmettere gli atti alla Procura, Zingaretti «ha reso testimonianza escludendo radicalmente e con indignazione qualunque contatto con chiunque per la gara Cup, di cui si sarebbe occupato solo a livello di indirizzo politico nella fase della programmazione. E tuttavia tali dichiarazioni non risultano convincenti alla luce dello stretto rapporto di amicizia di Zingaretti con Cionci ( che peraltro avevano facili occasioni di incontro lavorando vicini) e del rapporto di assoluta fiducia tra Zingaretti e Venafro ( per come affermato dallo stesso Zingaretti), delle intercettazioni telefoniche sopra viste sui rapporti tra Buzzi, Forlenza e Cionci durante lo svoglimento della gara, del valore ingente della gara medesima: tutti elementi che appaiono supportare la ricostruzione dell’imputato Buzzi sulla vicenda e che danno adito al sospetto di una testimonianza falsa o reticente di Zingaretti». Insomma, la testimonianza falsa o reticente di Zingaretti si giustificherebbe, secondo i giudici, con il fatto che «lo stretto rapporto di amicizia» con l’imprenditore Giuseppe Cionci non poteva non far sospettare che il governatore avesse parlato con lui della gara Cup.

«Ora attendo nuovamente la decisione che la procura di Roma riterrà di assumere», è la lapidaria dichiarazione di Zingaretti, che tuttavia rischia di partire azzoppato nella sua corsa alla riconferma in regione Lazio.