«Positivo, assolutamente: il giudizio sulle misure in arrivo in materia di intercettazioni, qualora le notizie di stampa trovassero conferma, non può che essere di condivisione dei princìpi».

Dottor Cananzi, si potrebbe persino considerarla tra i padri del provvedimento: nel luglio 2016 la settima commissione del Csm, sotto la sua presidenza, ha approvato una delibera su intercettazioni e tutela della privacy.

«No, tutto è cominciato con le circolari di numerosi procuratori: noi certo non ci siano limitati a farne una mera ricognizione, ma il primo segno di attenzione della magistratura è arrivato dai vertici degli uffici».

Il consigliere togato del Csm Francesco Cananzi ha presieduto la commissione preposta alla Organizzazione degli uffici giudiziari fino a pochi mesi fa. Si è occupato anche degli “ascolti”: la sua relazione anticipava gran parte dei princìpi sanciti dal decreto del guardasigilli Andrea Orlando, che sarà varato dal Consiglio dei ministri del prossimo 3 novembre. «Le regole servono e quelle che stanno per essere emanate mi paiono intelligenti», dice, «eppure non tutte le situazioni possono essere normate nel dettaglio: se si vuole tutelare la riservatezza dei “terzi” non coinvolti nelle indagini, o degli stessi indagasti rispetto a informazioni che attengono alla sfera privata e sono prive di rilevanza penale, ebbene prima ancora delle norme conta il senso di responsabilità di tutte le componenti, compresa l’avvocatura».

Ci arriviamo, consigliere Cananzi. Ma risponda a bruciapelo: il decreto va bene o no?

Gliel’ho detto: è giusta la preoccupazione di tutelare la riservatezza, sono intelligenti le soluzioni che, secondo quanto anticipato dalla stampa, il decreto avrebbe individuato.

La vostra delibera quali priorità aveva indicato?

In concreto, avevamo immaginato che il pubblico ministero potesse imporre precise direttive alla polizia giudiziaria affinché non fossero trascritte le comunicazioni, prive di rilevanza per le indagini, in cui compaiono terzi o che risulterebbero comunque lesive della riservatezza.

Ecco: nei casi da lei citati la norma prevista nel decreto vieta esplicitamente la trascrizione.

Il divieto non potrà essere assoluto: il pm non può che restare il dominus. Ogni valutazione in merito alla rilevanza del materiale acquisito spetta a lui.

E infatti l’ufficiale di polizia giudiziaria annoterà sinteticamente an- che il contenuto delle comunicazioni non trascritte, in modo che il pm possa decidere diversamente.

Vedremo se il testo conterrà un’indicazione del genere, ma non ho motivo di ritenere che non si avrà riguardo della potere di controllo del pm. Il punto qualificante di un simile provvedimento credo sia un altro.

Quale?

Se la norma è scritta così come i giornali l’hanno anticipata, da una parte resta possibile recuperare in una fase successiva le intercettazioni non trascritte, dall’altra se ne impedisce la pubblicazione prima che quella verifica successiva si realizzi.

Ma con il richiamo all’essenzialità dei colloqui riprodotti negli atti di pm e gip, scompariranno o no le “intercettazioni di contesto”?

Probabilmente ci sarà più attenzione a questo profilo, ma un lavoro più selettivo finirà per determinare probabilmente anche un certo rallentamento: d’altra parte la riservatezza ha un costo che è giusto sostenere. A volte il contesto ha rilevanza penale e va inserito: si decide caso per caso. E qui i difensori saranno di grande aiuto al giudice.

I difensori?

Certo: rispetto alla tutela dei terzi che non hanno un ruolo nella vicenda penale, è importantissima anche l’attenzione degli avvocati. Sia perché è un richiamo contenuto nel Codice deontologico forense ma soprattutto per il rilievo costituzionale della funzione difensiva che proprio l’avvocatura tiene a richiamare. Sono davvero titolari di una funzione costituzionale e quindi è giusto che siano anche custodi della riservatezza.

Al pari dei magistrati, giusto Dottore?

Assolutamente sì: così come nelle indagini del pm, anche le indagini difensive possono toccare ‘ terzi’ privi di ruoli nella vicenda, e può dunque porsi la necessità di rinunciare a un’intercettazione che non apporta concreti benefici alla strategia difensiva ma arreca un danno alla riservatezza di quella persona. Tengo a ricordare un’altra cosa: una scarsa attenzione alla tutela della privacy getta un’ombra di scredito sull’intero sistema della giustizia, il che chiama in causa la responsabilità di tutti: pm, giudici, avvocati, polizia.

Sarà vietato trascrivere le intercettazioni del difensore: non sarebbe stato giusto imporre la non registrabilità e l’eventuale immediata distruzione della registrazione comunque effettuata?

Secondo gli orientamenti giurisprudenziali maturati in questi anni, eventuali indizi di reità dovrebbero indurre a intercettare anche il difensore. Ma certo l’esercizio del mandato difensivo attraverso comunicazioni con l’assistito va preservato il più possibile.

Resta un vulnus: un inquirente scorretto può ascoltare la telefonata e acquisire notizie sulla strategia difensiva.

Resto perplesso rispetto all’ipotesi che si arrivi alla non registrazione o alla distruzione immediata. È però un significativo passo avanti quello di vietare la trascrizione, una via indicata anche nelle circolari di diversi procuratori: mi pare si tratti di una garanzia comunque fortissima rispetto al rischio che la strategia difensiva diventi conoscibile. L’importante è salvaguardala senza compromettere la possibilità di recuperare in fasi successive persino un colloquio dell’avvocato, in virtù di un interesse che potrebbe essere della stessa difesa.

Un’ipotesi estrema.

Ma ripeto: non si può sempre normare tutto nei minimi dettagli. Molto dipenderà dall’etica professionale dei soggetti coinvolti. Se si pensa sempre a divieti per fare le cose per bene, non si arriva lontano.