Pare che nella tempesta scatenata dalla mozione del Pd su Visco, con il governo che si affanna a limare e rivedere il testo, il presidente della Repubblica che mette i puntini sulle i, il premier che si defila, gli editorialisti dei quotidiani che lanciano allarmi, “personalità varie” che temono per la nostra stabilità e si stracciano le vesti, il più tranquillo sia proprio lui, Visco Ignazio.

Il fatto è che a Palazzo Koch sono abituati alle tempeste, e a tenere dritta la barra. Il fatto, pure, è che se entri in Bankitalia sei di Bankitalia per sempre. Un po’ come per l’Arma dei carabinieri. D’altronde fino al governatore Fazio – e a tutto l’ambaradam che ne venne – la carica era “a vita”, come per la Corte costituzionale americana, e ora è un mandato di sei anni, rinnovabile per un’altra sola volta.

Se c’è un’istituzione in Italia che premia il merito – non importa di dove discendano i tuoi lombi, non importa se hai frequentato o meno le più prestigiose università, non importa se conti o no amicizie importanti – quella è Bankitalia. Che sa coltivare i talenti, li tiene stretti, li allena e li mette alla prova perché un giorno possano regnare, e finalmente un giorno li incorona.

A leggere l’elenco dei primi direttori generali dal 1893 al 1928 – quando ancora non c’era la carica di governatore – è proprio così: Bombrini, il primo, mazziniano da giovane, chiama in Banca d’Italia Grillo, un orfano cresciuto dalle monache, che gli succede e chiama in Banca d’Italia Marchiori, garibaldino da giovane, che gli succede e chiama in Banca d’Italia Stringher, un figlio di immigrati, che poi succede a se stesso, perché diventa il primo governatore. E da allora la musica non è quasi mai cambiata: dei dieci governatori dal 1928 a oggi, otto hanno prima servito l’incarico di direzione generale. Con due sole eccezioni, e che eccezioni: Luigi Einaudi e Mario Draghi. E, a parte la prima genia “nordica”, senza riguardo all’area geografica di provenienza: Azzolini era napoletano, Menichella era foggiano, Fazio era di Alvito, Frosinone, e lo stesso Visco Ignazio è napoletano.

Il prestigio internazionale di cui gode – per la serietà, la professionalità, la competenza – nasce da qui, dal lavoro duro: è come l’Accademia di West Point, come il pugno di università della Ivy League, ma senza il fardello sospetto di aver potuto frequentare quelle austere e storiche aule solo perché papà aveva i dollaroni necessari per fare enormi donazioni, oltre a pagare rette con cui puoi varare una finanziaria di un paese europeo.

Dite che questa intorno a Visco è una gran tempesta? E allora pensate a Bombrini e Grillo che si trovarono di fronte alla circolazione di cinque tipi diversi di banconote, emesse oltre che dalla Banca Nazionale anche dal Banco di Napoli, dal Banco di Sicilia, dalla Banca Nazionale Toscana e dalla Banca Toscana di Credito. Ricordate E’ spingule francese, la celeberrima canzone di Di Giacomo? Fa così: «Nu juorno mme ne jètte da la casa / jènno vennenno spíngule francese / Mme chiamma na figliola: ' Trase, trase / quanta spíngule daje pe’ nu turnese? ”» È del 1888, e c’erano ancora i tornesi, i baiocchi, i quattrini, gli scudi, il grano, in giro per l’Italia appena unita. Se uno pensa alla “flessibilità dei cambi” di qua e di là del Garigliano, c’è di che far tremare i polsi. Dite che questa intorno a Visco è una gran tempesta? E quando nel marzo 1979 incriminarono Paolo Baffi, il governatore, e arrestarono Sarcinelli, direttore generale, per favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio nel corso di un’inchiesta sul mancato esercizio della vigilanza sugli istituti di credito – proprio lui che aveva intensificato l’attività ispettiva, tanto da essere chiamato “il governatore della Vigilanza”, ricorda qualcosa? Certo, in realtà era una lotta ai coltelli forse legata allo scandalo dei prestiti della Banca di Roma verso la banca di Michele Sindona poco prima che fosse posta in liquidazione coatta amministrativa, o all’enorme “buco nero” di Italcasse che aveva continuato a fornire liquidità agli “amici degli amici” democristiani, e li prosciolsero entrambi; ma dopo due anni, e Baffi già in agosto aveva deciso di dimettersi dall’incarico. Non senza aver prima suggerito al presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, il nome del suo successore che era poi il direttore generale dell’Istituto, tale Carlo Azeglio Ciampi.

Dite che questa intorno a Visco è una gran tempesta? E quando nel 2005 scoppiò lo scandalo del ruolo “improprio” assunto dal governatore Fazio nella vicenda tra Antonveneta e Banca popolare Lodi per cui fu costretto a dimettersi e gli succedette – questa, una vera “discontinuità” – un uomo che proveniva dalla finanza privata, da Goldman Sachs, Mario Draghi?

E quando il primo numero del 2004 di «Famiglia cristiana» pubblicò l’elenco dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia con le relative quote, una lista di nomi e imprese fino a quel momento considerato riservatissimo, e che solo l’anno dopo divenne pubblico e trasparente?

E quando nel 1982 Andreatta e Formica, rispettivamente ministro del Tesoro e delle Finanze, litigarono “come comari” rispetto il “divorzio” tra il Tesoro e la sua banca centrale e Bankitalia si trovò nel mezzo?

A ripercorrere la storia della Banca d’Italia, si ripercorre la storia politica, prima ancora che economica, di questo paese, dalla sua unità fino al grande boom degli anni Sessanta, l’istituzione della Cassa per il mezzogiorno ( benedetto sia Menichella), e poi l’inflazione e poi l’ingresso in Europa.

E pensate che questa storia possa entrare in fibrillazione per una mozione, primo firmatario Silvia Fregolent?