Gli alchimisti inseguivano un grande sogno: trasformare il piombo in oro. Per realizzare questa prodigiosa conversione di metalli vili in metalli nobili avevano immaginato una sostanza catalizzatrice: la pietra filosofale. Oltre a invertire la corruzione della materia, la pietra sarebbe stata anche una “panacea” in grado di curare qualsiasi malattia ( un elisir di lunga vita) e di conferire onniscienza a chi vi fosse entrato in contatto.

Naturalmente la pietra filosofale è rimasta una suggestione esoterica, un oggetto letterario custodito in luoghi letterari come il castello di Hogwarts del maghetto Harry Potter. Eppure la tenacia fideistica con gli alchimisti l’hanno cercata per secoli è alla base della chimica come oggi la conosciamo.

Ex falso sequitur quodlibet, recitava un noto principio della logica classica, da un enunciato contraddittorio può scaturire una conseguenza vera, ed è un po’ quel che è accaduto nel passaggio tra l’alchimia e la moderna scienza degli elementi e delle loro combinazioni. L’inglese Robert Boyle e il francese Antoine Lavoisier sono stati dei geniali pionieri, capaci di scoprire il comportamento della materia proprio a partire dagli errori dei loro predecessori. E oggi, a quattro secoli di distanza, la scienza è riuscita a dare forma a quella caccia al tesoro perduto degli alchimisti: dallo scontro di due stelle di neutroni a 120 milioni di anni luce dal nostro sistema solare si è infatti generata vera e propria “miniera galattica” di metalli nobili, o pesanti: oro, argento, platino e uranio in una quantità pari a dieci volte la massa della nostra Terra. La scoperta, annunciata ieri fa presso la National Science Foundation a Washington, è stata pubblicata sulla rivista Physical Review Letters è frutto di un lavoro congiunto dei progetti Ligo ( Stati Uniti) e di Virgo ( Europa) le cui “antenne” hanno osservato questa collisione stellare, confermata anche da decine di telescopi terrestri e satellitari.

Fino ad ora la formazione dei metalli pesanti nell’Universo è stata un mistero; si sapeva che la fusione degli atomi all’interno delle stelle genera il ferro e nulla di più. Adesso invece sappiamo che a partire dal dal clash di due stelle di neutroni l’oro e gli altri metalli si condensano in ammassi interstellari i quali poi danno origine ai pianeti e ad altri corpi celesti. Questo probabilmente è avvenuto anche nella nostra Via Lattea oltre 11 miliardi di anni fa.

Cosa sono le stelle di neutroni? In sintesi si tratta di astri molto più grandi del nostro Sole che, al termine del proprio ciclo evolutivo, ossia quando hanno bruciato tutto l’elio, collassano su se stessi fino a modificare la struttura atomica al lo- ro interno. La massa di queste stelle esercita una pressione così elevata da “schiacciare” elettroni e protoni, formando un oggetto di soli protoni, un oggetto pazzesco, dalla densità inimmaginabile per noi terrestri.

Per avere una vaga idea, le due stelle che si sono scontrate hanno un diametro di venti chilometri ma una densità pari a 150 milioni di tonnellate in ogni centimetro cubo di materia. È come se tutta la massa del Sole venisse concentrata nell’area urbana della città di Milano. In queste condizioni l’attrazione gravitazionale è così forte che, per non venirne inghiottiti, è necessaria una velocità di fuga di 100mila chilometri al secondo, un terzo della velocità della luce.

L’altro aspetto elettrizzante per ogni appassionato di scienza e di astronomia è il mezzo con cui siamo riusciti a scovare la “miniera galattica”: le onde gravitazionali, lo stesso fenomeno ipotizzato da Albert Einstein nel 1915 e che appena due settimane fa aveva permesso agli scienziati americani Rainer Weiss, Barry C. Barish e Kip S. Thorne di vincere il Premio Nobel per la Fisica.

Ma in quel caso le onde osservate dai ricercatori provenivano dalla fusione di due buchi neri lontani un miliardo e mezzo di anni luce e “catturate” dagli interferometri del progetto Ligo. Stavolta però l’origine delle onde molto è più vicina al nostro sistema solare e le masse osservate sono molto piccole. Il “flash” captato dagli interferometri e dagli altri telescopi dei ricercatori è un lampo di fluttuazioni gravitazionali associate a raggi gamma che distorce lo spazio- tempo e che permette di aprire un piccolo squarcio nella tela opaca del cosmo, di comprendere la genesi degli elementi e la formazione delle galassie.

Così, questo 2017 inaugura l’era dell’astronomia gravitazionale ( detta anche “multimessaggero” in quanto le informazioni viaggiano su segnali di varie lunghezze d’onda, come la luce, raggi gamma, i raggi X, l’ultravioletto, o le onde elttromagnetiche), si tratta di un’autentica rivoluzione nell’osservazione dell’Universo e di una nuova età dell’oro per la scienza tutta. Lo onde gravitazionali ( e le altre onde associate) saranno come degli aerei charter che, dall’altra parte dello spazio- tempo, ci porteranno informazioni preziose sull’origine e sul destino della materia. «Abbiamo ottenuto una quantità di risultati talmente interesanti che ci ha letteralmente travolti, è un momento di straordinaria importanza storica», commenta entusiasta il fisico Gianluca Gemme, coordinatore per l’Italia del progetto Vigo.

In fondo la pietra filosofale degli alchimisti non era una chimera: invece di accanirsi nel combinare astrusamente metalli terrestri, bastava alzare gli occhi verso il cielo.