Gli scrittori finiranno dietro le sbarre. Grazie al progetto Arci Firenze denominato “Scrittura d’evasione”, giunto al terzo anno consecutivo, anche quest’anno nel carcere di Sollicciano entreranno gli scrittori per stimolare i detenuti alla scrittura creativa. A partire da martedì 28 novembre e fino alla fine di maggio, i martedì pomeriggio le aule della scuola del carcere – anche per questa edizione – si apriranno agli scrittori, tra cui Giulia Caminito, autrice de “La grande A”, Simona Baldanzi, il cui ultimo libro, “Maldifiume”, ha riscosso uno straordinario successo, lo scrittore Alessandro Leogrande, vicedirettore della rivista "Lo Straniero" e la poetessa, performer e saggista Rosaria Lo Russo.

Le lezioni di scrittura saranno aperte, oltre che ai detenuti, al pubblico proveniente da fuori del carcere, per un massimo di dodici iscritti ( iscrizioni su www. arcifirenze. it). Quest’anno, per la prima volta, il corso si snoderà lungo un tema definito: quello del reportage, del racconto del mondo e delle proprie esperienze attraverso immagini, attraverso ritratti di persone, luoghi ed episodi capaci di tratteggiare una tela più ampia e sfaccettata. Per questo, tra gli autori che parteciperanno ci sarà il giornalista Saverio Tommasi e, in veste di documentarista, anche Lorenzo Hendel, regista televisivo già responsabile editoriale della trasmissione Doc3, lo storico spazio di Rai3 dedicato ai documentari.

Tante le iniziative del genere nei diversi istituti penitenziari. Nel carcere si scrive. Si scrive per capirsi di più, per esprimere speranza e per assaporare un senso di libertà che, altrimenti, non è consentito. Si scrive lettere, diari, poesie e canzoni, come non era mai accaduto. La narrazione e la scrittura di sé nei luoghi di detenzione sembra essere una necessità per non permettere al tempo trascorso e rubato in carcere di divenire tempo vuoto, sala di attesa di non si sa cosa e quando. I detenuti - se hanno fortuna - trascorrono il tempo partecipando ad attività e molte volte, nella solitudine della loro cella, scrivono. La scrittura nei luoghi di reclusione è creatività che aiuta a sopravvivere e a ricercarsi uno spazio di libertà. In carcere la scrittura è praticata, in forme diverse, molto più di quanto non si pensi. Non solo come mezzo di comunicazione personale come le lettere, diari o a scopo funzionale, come le cosiddette “domandine”, istanze, relazioni per processi, ma anche nella forma di attività organizzata: sono diffusi i progetti di scrittura in forma di narrazione anche autobiografica, di poesia, di sceneggiatura (pensiamo al film “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani) o per il settore audiovisivo e queste iniziative sono riconosciute e supportate dal ministero della Giustizia.

A fianco alla scrittura c’è anche la lettura dei libri. Un modo non per cancellare il passato, ma per dargli voce attraverso la scrittura, anche nella prospettiva di riscrivere il proprio futuro. Nelle nostre carceri si considera la presenza di libri come un punto importante nella strada che i detenuti devono compiere per dare un senso nuovo alle loro vite. Spesso ci sono lezioni tenute da docenti di grande valore. Chi prende parte a questi corsi lo fa nella speranza di poter elaborare meglio le proprie richieste scritte ai direttori o di riuscire a scrivere con più intensità e chiarezza le lettere per i propri cari. Solo poi, di fronte alla forza del pensiero e della libertà delle parole, i libri diventano a tutti gli effetti dei compagni di viaggio per degli uomini che hanno come nemici la noia e l’esclusione. Non a caso la presenza dei libri in carcere è garantito dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario.