Chiunque merita una seconda possibilità. A parole siamo tutti convinti di ciò. Se però si tratta di mostrare apertura verso chi è in carcere a scontare una pena, il discorso a volte cambia, e per paura, pregiudizio e diffidenza si emarginano i detenuti, anche dopo l’uscita dal carcere. Questo, perché siamo stati erroneamente abituati, anche coi talk show fondati sul populistico livore forcaiolo, a vedere nell’istituto carcerario il mezzo per “punire” il trasgressore.

Peccato che la Costituzione italiana abbia superato da tempo l’impianto punitivo, come recita l’art. 27 che «... Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Le statistiche indicano che repressione, pene severe, pacchetti sicurezza e indulto, non sempre hanno reinserito al meglio coloro che hanno commesso reati.

Uno dei mezzi di reinserimento, come spiega l’art. 15 dell’ordinamento penitenziario ( legge 354/ 1975), è il lavoro. Inoltre per arginare il fenomeno della recidività, varie associazioni sono impegnate nel recupero di persone che hanno commesso vari tipi di reati. Un’altra strada parallela è quella delle religione. Lo specifica l’art. 26 del citato ordinamento penitenziario, che riconosce ai detenuti il diritto di professare la propria fede, di “istruirsi” nella propria religione e di praticarne il culto.

Fra le confessioni che operano in tal senso vi sono i Testimoni di Geova. Ma non è una peculiarità italiana: la rivista Svegliatevi! , uno dei periodici della confessione, in data 8 maggio 2001 arrivò a dedicare al tema l’articolo di copertina, «È possibile rieducare i detenuti?», richiamando l’attenzione sia dei carcerati che delle autorità. In Messico, nel penitenziario di San Luis Río Colorado nello stato di Sonora, 12 Testimoni volontari distribuirono 2.149 copie della rivista. La modalità di riabilitazione è molto interessante: il detenuto, contattato da uno dei ministri di culto viaggianti autorizzati dalle autorità, se interessato a proseguire il percorso religioso ( cosa non obbligatoria per chi è interessato), generalmente tende a cambiare completamente in virtù anche dello stile di vita salutista basato sui precetti biblici, dato che i Testimoni di Geova condannando l’abuso di alcool, l’uso di droghe, il fumo e perseguendo, in nome del comando evangelico di «dare a Cesare quel che è di Cesare», un’onestà che molti, anche i detrattori, non possono negare.

In Italia la predicazione nelle carceri sta dando eccellenti risultati: sono più di 700 i detenuti che sono assistiti da 453 ministri di culto, di cui 68 donne. I Testimoni di Geova sono stati la prima organizzazione cristiana non cattolica a chiedere e ottenere il permesso di fare qualcosa di simile. Quest’opera di assistenza carceraria è svolta gratuitamente da ministri di culto autorizzati sin dal 1976 in virtù del primo riconoscimento governativo di questa religione cristiana. E i risultati si sono visti: il direttore dle carcere di San Vittore Olona ( MI) ebbe a dire che «L’operato dei testimoni di Geova in questo penitenziario è encomiabile e utile. Studiando la Bibbia con i Testimoni, i detenuti cambiano la loro scala di valori e il loro comportamento, e questo dà un nuovo senso alla loro vita. Agiscono con molto tatto ed educazione. Lavorano con diligenza e non creano quasi mai problemi» ; nel 2008 i giornali diedero la notizia di un uomo di Sesto San Giovanni che dopo avere scontato 10 anni di carcere per omicidio e droga si è convertito ai Testimoni di Geova, cambiando completamente la sua vita.

Stesso percorso fatto da un boss della malavita pugliese, spingendolo non solo a cambiare fede, ma a recidere ogni legame con la precedente vita criminale.

Il Giorno del 6 ottobre 2004 riportava invece la notizia del battesimo di un recluso presso il carcere di Bollate. Ed è da questo carcere, situato a 15 chilometri a nord di Milano, che parte un’ulteriore evoluzione del volontariato. Perché se fino a d’ora, in virtù dell’art. 26 dell’ordinamento penitenziario nelle carceri vi erano cappelle cattoliche, riconoscendo la citata utilità sociale, lo Stato e le autorità dell’istituto penitenziario di Bollate hanno dato alla confessione cristiana un locale interno al carcere da adibire a Sala del Regno, come sono chiamate le Chiese dei Testimoni di Geova. Sul sito web del gruppo religioso, jw. org, il dottor Massimo Parisi, direttore dell’istituto carcerario, spiega che “Uno degli obiettivi che abbiamo è quello di far sì che le persone recuperino la speranza, e sotto questo profilo ci avvaliamo di diversi strumenti. Non riteniamo secondaria la spiritualità”. Sono ben 13 anni che i Testimoni di Geova fanno attività religiosa nel carcere di Bollate, e sono 100 i detenuti che, negli ultimi mesi, hanno frequentato con una certa assiduità le funzioni. «I Testimoni collaborano da anni con l’istituto, e con la loro opera di istruzione biblica hanno prodotto in alcuni detenuti cambiamenti positivi. [...] Perciò abbiamo ritenuto opportuno riservare un’area in cui i Testimoni possano aiutarli a esprimere tutte le loro potenzialità».

Christian Di Blasio, portavoce dei Testimoni di Geova in Italia, afferma: «Siamo felici che le autorità del carcere di Bollate ci siano venute incontro assegnandoci, all’interno dell’istituto, un locale per le nostre funzioni religiose. Continueremo a collaborare alacremente con le autorità così che sempre più detenuti possano trarre beneficio dalla nostra opera di istruzione basata sulla Bibbia, un’opera pensata appositamente per rispondere ai loro bisogni spirituali». Il più delle volte il recupero è totale: appena scontata la pena l’ex detenuto si prodiga ad aiutare altre persone a conoscere il messaggio evangelico. Una scorsa a Internet fa notare come in vari carceri italiani le autorità stanno autorizzando i volontari autorizzati di questa confessione a svolgere attivamente attività di recupero a favore dei detenuti.

La presenza di un luogo di culto dei Testimoni di Geova autorizzato entro le mura di un carcere non è però l’unico caso. Oltre alle citate chiese cattoliche, che numericamente sono quelle che in maggioranza svolgono assistenza spirituale a quei detenuti in cerca di conforto in un paese tradizionalmente cattolico, in una società che sta diventando sempre più multiculturale e con una popolazione carceraria straniera di oltre 18mila unità, l’analisi di ben 190 istituti carcerari ha rilevato che in 69 di essi erano presenti locali adibiti a preghiera per i detenuti musulmani dove si può esercitare il culto congiuntamente, in particolare il venerdì: nel 2009 erano 36.