Molto probabilmente sarà Piercamillo Davigo, ex presidente dell’Anm ed ex pm di Mani pulite, il candidato di punta di Autonomia& Indipendenza alle elezioni del prossimo anno per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura. Una candidatura di indubbio spessore che ha significative possibilità di riscuotere consensi in ampi settori della magistratura.

A& I, nata nel 2015 in seguito alla scissione da Magistratura indipendente nel corso di un “turbolenta” assemblea nazionale, si è in questi anni consolidata in quella parte di toghe che non si riconoscono nell’attuale sistema correntizio.

Pur essendo una nuova corrente, in una intervista a questo giornale, Aldo Morgigni, consigliere togato al Csm eletto in Magistratura indipendente e successivamente transitato in A& I, ha sostenuto che il magistrato non deve considerare il gruppo associativo come “un ufficio di collocamento” per chi aspira ad incarichi direttivi. Oltre a ciò, la lontananza dalla politica tradizionale è un altro punto centrale del pensiero di A& I: il magistrato che fa politica non può tornare ad esercitare la giurisdizione.

Molte volte l’ex presidente dell’Anm ha espresso giudizi poco lusinghieri nei confronti della classe dirigente del Paese, sottolineando come il magistrato debba dedicarsi esclusivamente alla giurisdizione. L’anagrafe giocherà, però, un ruolo fondamentale sul futuro di Davigo. Classe 1950, l’ex pm di Mani pulite, salvo interventi di riforma della tanto vituperata politica, andrà in pensione nell’ottobre del 2020.

Il quotidiano la Repubblica riportava ieri che Davigo intende proporre la propria candidatura per succedere a Giovanni Canzio, primo presidente della Corte di Cassazione che il prossimo 31 dicembre lascerà l’incarico.

Difficilmente l’attuale Csm, che comunque lo nominò nel 2016 presidente di sezione in Cassazione, lo preferirà agli altri aspiranti dopo le sue aspre critiche per il modo in cui l’organo di autogoverno delle toghe procede nell’assegnazione degli incarichi direttivi. Al Csm «le nomine non convergono sul candidato migliore, ma temo che la prassi sia quella di uno a te, uno a me e uno a lui, che è una cosa orribile», disse qualche tempo fa.

Le elezioni per il rinnovo del Csm si terranno nella prossima estate. Il mandato ha durata quadriennale, quindi fino al 2022. Nel caso in cui Davigo venisse eletto consigliere del Csm non potrebbe per l’anagrafe, dunque, portare a conclusione l’incarico a Palazzo dei Marescialli. Non risultano, però, precedenti di consiglieri eletti sui quali durante il mandato sia calata la scure del pensionamento. Sul punto l’ufficio studi del Csm pare sia già al lavoro: secondo una interpretazione della norma si ritiene che un consigliere una volta eletto debba rimanere in carica per tutto il quadriennio. Senza che eventi quali il pensionamento possano incidere sul mandato elettorale.

Ciò garantirebbe a Davigo, oltre ad allungarsi la carriera in toga, cosa che non potrebbe accadere con la nomina di presidente della Cassazione, di rimanere quattro anni nella “stanza dei bottoni” e di condizionare fortemente, anche alla luce della sua alta visibilità “mediatica”, il futuro assetto della magistratura.

Sulla prossima composizione del Csm oggi nessuno è pronto a scommettere. Da elezioni delle giunte distrettuali Anm, come Milano e Firenze, stanno arrivando alcuni segnali: un calo delle toghe “progressiste” di Md, un rafforzamento della “destra giudiziaria”, come Magistratura indipendente, una tenuta della corrente di centro rappresentata da Unicost. La variabile sarà, quindi, rappresentata dal fattore “Davigo”.