Se Paola Marioni fosse stata un magistrato si sarebbero mossi e non l’avrebbero lasciata sola. Si sarebbero mossi per lei il prefetto il questore e il procuratore capo di Milano quella sera del 20 luglio se Paola Marioni, accoltellata per quindici volte nel suo studio da un killer professionista, finita al Policlinico in codice rosso, subito operata e ancora oggi menomata con le ferite nel corpo e nello spirito, fosse stata un magistrato. Sotto il suo studio e la sua abitazione stazionerebbe un’auto della polizia e lei stessa camminerebbe nelle strade di Milano e nei corridoi del Palazzo di giustizia con la scorta. E il caso sarebbe forse stato subito risolto, come quella volta in cui un incauto sfortunato ladro rubò la borsetta a un importante magistrato. Paola Marioni però ha un difetto, è avvocato. E non ha avuto nulla di tutto ciò. La parità non esiste nel processo e non esiste nella vita. Quella dell’avvocato è una professione che comporta anche i suoi pericoli, proprio come quella del magistrato. Lei è terrorizzata da quella sera, quando un signore che aveva preso appuntamento con il falso nome di Deandrese si è presentato alle 18,45 al suo ufficio. Lei era sola e tranquilla, abituata alle controversie condominiali di cui spesso si occupa, ma anche, in qualità di membro dell’Organismo di conciliazione forense, capace di stemperare le tensioni. Quella sera non ci fu nulla da fare, lei gridò, ma cercò anche di tranquillizzare l’uomo. Lui continuava ad affondare il coltello nel suo corpo.

Non ci fu nulla da fare perché l’uomo, prestante quarantenne rasato palestrato e ben vestito, con probabilità non era solo un cliente insoddisfatto o una controparte inferocita, ma un killer prezzolato. Non ha ucciso, ma ci ha provato e ha ferito gravemente.

Una sorta di messaggio mafioso, un avvertimento che potrebbe avere un seguito. Pure, complice anche la stagione estiva, su quel grave fatto pare calato il silenzio. Tacciono le forze dell’ordine ( che inizialmente hanno invano cercato la pista passionale), tace il pubblico ministero Giovanni Polizzi, tacciono anche i cronisti giudiziari. Dalla fine di luglio di Paola Marioni non si è più sentito parlare. Così lei ha deciso di andare in tv, alla trasmissione Iceberg di Telelombardia, specializzata nei casi giudiziari più spinosi come quello sulla morte di Yara Gambirasio, a gridare, lei che è una donna tosta e determinata, tutte le sue paure. Nel frattempo è sempre al suo lavoro, ma senza tranquillità. La via dei Pellegrini, dove è il suo studio, è una piccola strada del centro di Milano, contigua a un’arteria come corso di Porta romana piena di uffici e percorsa dal metro, ricca di telecamere e controlli. L’uomo è probabilmente arrivato a piedi e con un piano ben studiato. Dopo aver infatti trovato aperto il cancello condominiale mentre una signora stava uscendo, è andato a colpo sicuro a citofonare allo stabile giusto, uno dei sette del complesso. Il suo non è stato certo il gesto improvvisato di una persona esasperata. Ma un’azione premeditata e ben organizzata. L’avvocato Marioni ha anche nella sua testa alcune ipotesi sui possibili mandanti. Una quindicina, dice, ma si possono ridurre a tre. Tutto documentato e affidato alla capacità degli investigatori. Che sono quanto mai “discreti” sul caso. Forse anche perché nessun cronista va a bussare alla loro porta.

Ma nel frattempo chi protegge Paola Marioni dal timore che chi ha iniziato l’opera non torni a concluderla? E perché nessun organo di informazione parla più di un tentato omicidio così particolare? Certo, se fossi stato un magistrato… sospira l’avvocato.

Ps: a quanto risulta, ieri il prefetto di Milano ha telefonato all’avvocato Marioni. Almeno a lui, l’enormità dell’errore non è sfuggita.