Federico Varese, criminologo dell’Università di Oxford, dipartimento di sociologia,, è autore del saggio Mafia life, nelle librerie inglesi dallo scorso giugno. In Italia il libro sarà pubblicato da Einaudi alla fine del prossimo ottobre con il titolo Vita di mafia. Il docente ferrarese, da anni trapiantato nella famosa città universitaria, analizza il fenomeno mafioso sotto vari punti di vista ed evidenzia che il crimine organizzato non è soltanto un “prodotto” di esportazione, ma è riuscito a radicarsi oltremanica in forma del tutto autoctona con punte di violenza e metodi che nulla hanno da invidiare alla n’drangheta o alla mafia russa.

Professor Varese, quali sono i temi che affronta in Mafia life?

Il libro è un tentativo di capire com’è la vita quotidiana delle organizzazioni criminali. Ogni capitolo è costruito con una tappa delle vite degli appartenenti alla mafia: nascita, attività, soldi, morte degli appartenenti alle organizzazioni. Per esempio nel primo capitolo si parla dei riti di iniziazione. Quando il mafioso attraversa il rito di iniziazione, diventa, nella logica dell’organizzazione criminale, un uomo vero e quindi rappresenta una sorta di seconda nascita. Con il rito di iniziazione passi dall’essere una nullità ad una “persona vera”, un membro della mafia.

Non mancano i racconti di storie criminali…

Il libro si basa su storie che io stesso ho vissuto in tutti questi anni di studio del fenomeno mafioso. Parlo della mia esperienza in Russia negli anni Novanta, quando ho conosciuto un noto mafioso in una città sugli Urali, in Siberia, dove ho fatto lavoro sul campo. In Mafia Life racconto di come ci siamo incontrati, come questo criminale governava la città in cui viveva e il momento in cui mi comunicarono la sua uccisione qualche tempo dopo il mio ritorno ad Oxford. È un libro a cavallo tra il reportage e lo studio scientifico. Tutto basato su anni di ricerche.

Come studioso delle mafie ha dedicato anche attenzione all’approdo della criminalità organizzata italiana in Gran Bretagna, senza però tralasciare i fenomeni criminali tipici di determinati luoghi. Esiste una mafia inglese?

La ‘ ndrangheta ricicla nella City di Londra. Nel mio libro però affronto anche il tema della mafie autoctone in Inghilterra. Questo Paese pensa che le mafie siano un fenomeno di importazione. Non è così. Anzi. Nel libro parlo di una cittadina inglese, Salford, vicino a Manchester, in cui il controllo delle attività illecite è nelle mani di gang del posto. Queste impongono il pizzo, cercano di avere contatti con la politica. Mentre scrivevo il libro, venne ucciso un boss a Salford e mi recai lì. Ho intervistato molti cittadini e ho potuto constatare tanta omertà e quasi accettazione della presenza di certi criminali. Atteggiamenti che sembrerebbero tipici di altri luoghi, come in alcune parti del Sud Italia o in Russia, ma siamo oltremanica. In Inghilterra esistono dei grumi di mafia, che non sono riconosciuti come tali dalle autorità.

Come viene vista l’Italia da Oxford?

Non c’è molta attenzione verso l’Italia. I fari sono tutti rivolti alla Brexit ed il Paese è spaccato su questo tema. Pochissima attenzione viene dedicata alla questione dei migranti che l’Italia sta affrontando da sola.

Lei ha più volte collaborato con John Le Carré. Il celebre scrittore si è avvalso delle sue conoscenze sulla criminalità organizzata per la stesura di alcuni romanzi. Siete in costante contatto?

Ci siamo sentiti pochi giorni fa. Le Carré ha ultimato il romanzo A legacy of spies, in uscita a settembre, dove resusciterà il personaggio di George Smiley. I romanzi di Le Carré, pur essendo di finzione, si basano su ricerche approfondite. Una volta disse: “La cosa più pericolosa è osservare il mondo da una scrivania”.