La dignità di chi commette reati è il primo punto. Realizzarla vuol dire attuare la Costituzione in parti “che non tutti conoscono”, spiega Gherardo Colombo. L’ex pm di Mani pulite immagina un sistema penale in cui “soltanto chi è effettivamente pericoloso” debba restare in cella. “E io sono a mia volta dell’idea di evitare il più possibile l’esperienza detentiva, a condizione che le finalità di recupero sociale si coniughino con l’esigenza di sicurezza che ci arriva dalla collettività”, commenta con il Dubbio Santi Consolo, magistrato che dirige il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. A un ricorso limitato, se non residuale, della reclusione si arriva se “il recupero avviene lungo la strada da tutti indicata come la più adeguata: il lavoro”.

Consolo non respinge la “rivoluzione”. Vuole però prepararla. Servono risorse finanziarie – “perché il lavoro dei detenuti dev’essere equamente retribuito” – e “almeno 15mila braccialetti elettronici, con cui sarà possibile sia accrescere il lavoro esterno che quantità e durata dei permessi”. La domanda è dunque di fatto una sola: “Siamo in grado di assicurare l’opportunità del lavoro a tutte le persone detenute che la chiedono?”. È il sentiero, forse stretto e impervio, che il capo del Dap vede per realizzare l’ideale di Colombo, un carcere il meno popolato possibile. “Quello a cui tengo è che questa mia proposta credo sia davvero in grado di coniugare le esigenze deflattive del sistema penitenziario con le istanze delle componenti più securitarie della politica e dell’opinione pubblica. Far lavorare i reclusi, per fini di utilità sociale, con equa retribuzione, anche all’esterno con l’applicazione di braccialetti, renderebbe condivisibili alcune soluzioni: prevedere per esempio che a un recluso possa essere riconosciuto uno sconto di pena di un giorno ogni quattro prestati in attività lavorative”.

È questa la “vera rivoluzione”, secondo Consolo: “Far lavorare tutte le persone ristrette che sinceramente lo vogliono”. Un sogno? Non proprio. Sono al lavoro presso il ministero della Giustizia le commissioni chiamate a redigere i decreti attuativi della riforma penitenziaria. A coordinarle è il professor Glauco Giostra, che ha già guidato i lavori degli Stati generali. “E al professor Giostra”, spiega Consolo, “ho già trasferito le proposte di cui le parlo: ho trovato in lui grande interesse e sensibilità”. Sul piano normativo dunque le idee del direttore del Dap troveranno le cornici adatte alla loro realizzazione. Ma, è chiaro, si tratta anche di trovare le risorse. “Già oggi abbiamo insediamenti produttivi che impiegano detenuti, e progetti sul punto di avviarsi che daranno ulteriore concretezza al principio: si tratta di buone prassi, se vogliamo estenderle a tutti gli istituti vanno trovate soluzioni finanziarie nuove”. Sono già attivi “i centri i cui si ripara la carrozzeria delle auto dell’amministrazione, come a Sant’Angelo dei Lombardi in Irpinia. A breve partirà il centro di produzione delle divise della polizia penitenziaria a Biella, grazie a un

progetto con Zegna, in cui saranno impiegati detenuti selezionati e formati dalla stessa azienda, che metterà a disposizione anche i macchinari”. Analoghe produzioni sono in fase di allestimento “con Marinella per le cravatte e Keaton per le camicie”. Ma perché il lavoro non sia un privilegio per pochi e arrivi potenzialmente a ogni recluso “serve una grande opera di semplificazione delle procedure contabili: altrimenti i direttori non possono farsi carico di ulteriori e gravose responsabilità”. Semplificazione, per Consolo, vuol dire anche “soluzioni originali come il lavoro agricolo e nelle serre basato sull’autoconsumo: il recluso può essere retribuito anche attraverso i beni da lui stesso prodotti, che potranno essere consumati anche dai suoi familiari. In ogni penitenziario è sicuramente possibile allestire delle serre. E io continuo a credere in un sogno: fare dell’amministrazione la più grande impresa nazionale”.

È una visione contrapposta a quella di Colombo? “Non mi pare. Il collega Colombo è ottimo interprete degli esiti degli Stati generali. Io vedo nel lavoro la strada per un effettivo recupero che consenta il realizzarsi di quell’ideale. E intanto, otterremmo una maggiore vivibilità anche tra reclusi e agenti: ci sono attività lavorative mirate a introdurre gli strumenti tecnici, come i cancelli ad apertura automatica e i sistemi di videoripresa, che riducono per esempio le criticità nella vigilanza attiva. Il lavoro in carcere aiuta davvero a migliorare tutto il sistema”.