Il meeting di Comunione e liberazione è un luogo di confronto sopravvissuto a un’altra era geologica. È l’occasione in cui tutta la politica guarda ai cattolici come riferimento, forse l’ultima del genere rimasta in giro. E in vista del suo intervento a Rimini, Gherardo Colombo ha pronunciato parole rivoluzionarie sul carcere nell’intervista, messa in rete giovedì, a sussidiario.net, giornale on line vicino a Cl. Da cattolico, il giornalista chiede se “il perdono” può diventare la base di un nuovo sistema penale. E Colombo risponde di sì. Solo un cattolico, e un ambiente di cattolici, poteva trovare la chiave per non respingere a colpi d’anatema le tesi dell’ex pm di Mani pulite, secondo cui negli istituti di pena dovrebbe essere trattenuto “soltanto chi è effettivamente pericoloso: oggi, non più di 20mila dei 55mila detenuti totali”. Altrove ( tranne che su questo e pochi altri giornali) le affermazioni dell’ex magistrato sarebbero state censurate.

LA “VISIONE” DELL’EX PM. MANCONI: «TUTTI CAMBIANO »

Al più, sarebbero trattate come un’eccentricità intellettuale. Al Meeting e sul giornale on line di riferimento Colombo trova ascolto. E la sua rivoluzione è talmente visionaria da anticipare i contenuti di una riforma sottovalutata, quella dell’ordinamento penitenziario, che, se i decreti attuativi in preparazione a via Arenula tenessero fede agli Stati generali, si avvierebbe a realizzare gradualmente il sogno di Colombo. Almeno in linea teorica.

Colombo si occupa nella sua analisi di una categoria che sovrasta le norme penali: “La relazione che esiste tra i cittadini e le regole”, la definisce. Ma non è un tema di diritto costituzionale. È questione filosofica. “Se vogliamo educare al bene, dobbiamo usare lo strumento del rispetto della dignità altrui, in altre parole il bene”, è la frase con cui si chiude l’intervista. Evidente che la visione dell’ex pm si collochi su un piano elevato, lontano dallo squallore dei guaiti giustizialisti con cui si deve fare i conti in Parlamento. Questo contribuisce a spiegare perché le aspettative coltivate da Colombo sembrino comunque destinate a superare i possibili, effettivi esiti della riforma.

La prevista estensione della giustizia riparativa; il più ampio ricorso alle misure alternative; la maggiore diffusione del lavoro in carcere e il supera- mento delle ostatività che precludono l’applicazione dei benefici agli ergastolani: tutti propositi chiaramente affermati dalla delega sull’ordinamento penitenziario. Una norma quadro che entro il 31 dicembre sarà tradotta in decreti attuativi, sui quali sono al lavoro le commissioni nominate dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ma quanti ostacoli troveranno questi decreti? Quante precisazioni saranno imposte nei pareri ( si spera tempestivi) delle commissioni parlamentari? E soprattutto, quanto saranno capaci i magistrati di applicare fino in fondo le previsioni della riforma?

Certo l’invito di Colombo a preservare, secondo Costituzione, anche la dignità di chi è colpevole, da cui viene l’appello per un ricorso prevalente alla giustizia ripartiva, pare chiudere il cerchio con l’innesco del giustizialismo, ossia Mani pulite. Ma è esattamente così? “Intanto ricordo che dieci anni fa fu l’allora capo del Dap ad affermare che i detenuti socialmente pericolosi, e per i quali l’unica soluzione era quella carceraria, non superavano le 10mila unità”, osserva, interpellato dal Dubbio, Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato e tra i pochi parlamentari che possano comprendere i discorsi di Colombo. “Ecco perché quella di Gherardo non è un’eresia bensì una valutazione razionale delle concrete esigenze del ricorso alla cella chiusa”. Ma sulla chiusura del cerchio con Mani pulite, dice Manconi, “ci andrei cauto: Colombo era uno dei componenti il Pool. Certamente il più liberale tra tutti. Dopodiché egli rappresenta magnificamente uno degli assunti di questa sua concezione, che presenta indubbi motivi di novità radicale ma che data almeno a 10 anni fa, e l’assunto è che tutti gli uomini possono cambiare. Lo dico senza la minima tonalità ironica”, assicura il senatore, “Gherardo ha una grande fiducia nell’uomo e nella sua capacità di maturazione. Certo è che io condivido tutte le sue parole”.