Se ci sono versi di una canzone più oscuri e ermetici di quelli di A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum – We skipped light fandango / turned cartwheels ‘ cross the floor – che hai voglia a cercare di capire che cosa significhino, quelli stanno in Mrs. Robinson di Simon e Garfunkel: Hide it in the hiding place where no one ever goes / Put it in your pantry with your cupcakes, nascondilo in un posto sicuro dove nessuno guarda mai / mettilo insieme ai tuoi pasticcini.

Cosa deve nascondere Mrs. Robinson, cosa deve mettere con i suoi pasticcini nella dispensa, qual è il suo segreto? Hai voglia a cercare di capire. Forse non è un caso che entrambe le canzoni uscirono nel 1967. Cinquant’anni fa. Il fatto è che Simon e Garfunkel si erano messi d’accordo con Mike Nichols, il regista di Il laureato, per una canzone – e quella gliel’avevano data: The Sound of Silence, una meraviglia. Però, a Nichols ne serviva un’altra e glielo disse tardi e loro ci si misero a lavorare ma il film era finito e non era venuto fuori niente, così Simon disse che una canzone nel cassetto ce l’aveva ma era stata pensata per Eleanor Roosevelt, la moglie di Franklin Delano ( quattro mandati da presidente, ci fecero una legge apposta perché non succedesse mai più), personaggio straordinario e influente, e si chiamava proprio così: Mrs. Roosevelt. E Nichols gli chiese di strimpellarla e loro la cantarono. E poi lui disse, beh, metteteci un po’ le mani e chiamatela Mrs. Robinson. E così andò: Where have you gone, Joe DiMaggio? / A nation turns its lonely eyes to you, wo wo wo / What’s that you say, Mrs. Robinson / ‘ Joltin Joe’ has left and gone away, hey hey hey / Hey hey hey, dove sei finito Joe DiMaggio? L’insoddisfazione per gli anni Sessanta, che cova sotto lo splendore di sorrisi da pubblicità del fluoro, lo smarrimento, spinge lo sguardo all’indietro, a una figura popolare e mai dimenticata, DiMaggio, un giocatore di baseball dai record incredibili, un uomo semplice, figlio di immigrati siciliani, che aveva sposato la donna più desiderata della terra, Marilyn Monroe, era stato lasciato, ma non l’aveva mai abbandonata quando i corvi avevano cominciato a girarle intorno. Oh America. Che importa capire alla lettera, c’è tutto chiaro nel cuore.

È così che nascono i capolavori, senza saperlo. La parte di Mrs. Robinson doveva andare a Doris Day, nata Kappelhoff – la fidanzata d’America per tutti gli anni Quaranta e Cinquanta, una star di prima grandezza nelle canzoni, al cinema e in televisione – che ora aveva quarantacinque anni e era perfetta per la parte, ma declinò. La prese Anne Bancroft, nata Anna Maria Louise Italiano, da genitori di Muro Lucano ( oh America, adoro i tuoi cognomi), che di anni ne aveva trentasei cioè solo sei più di Dustin Hoffman – nato proprio Hoffman, famiglia ebrea di radici ucraine e rumene – al suo primo ruolo importante, che doveva fare il giovanissimo ventenne appena laureato e già smarrito da sedurre ( «Mrs. Robinson, you’re trying to seduce me. Aren’t you?» ) e solo nove più di Katharine Ross, che doveva fare la figlia Elaine, di cui Ben si innamora perdutamente. E la Bancroft divenne il pepe di quel film e il sogno proibito di tutti i ventenni del mondo. E cioè di quelli che di lì a poco il mondo avrebbero provato a rovesciarlo, wo wo wo, hey hey hey. La storia del film è presto raccontata: Benjamin Braddock, giovanotto educato di buona famiglia, ha appena finito il college e torna a casa a Pasadena, California, dove i suoi hanno organizzato una festa con tutti i propri riccastri amici che gli parlano del suo possibile futuro tranquillo ( «Una sola parola: la plastica» ), anche se lui ha proprio un’aria disorientata. Alla festa, Ben conosce Mrs. Robinson, moglie del socio d’affari del padre, che con una scusa lo porta a casa e prova a sedurlo. Seduzione che è solo rimandata di qualche giorno, consumata in un hotel, e che dà inizio a una relazione clandestina, in cui Ben è sempre più a disagio.

Poi Ben conosce la figlia dei Robinson, Elaine, e se ne innamora, benché Mrs. Robinson lo minacci di rivelarle la loro relazione, finché sarà proprio lui a raccontare tutto alla ragazza, in cui ha trovato comunicazione, bellezza, verità, fine di ogni ipocrisia e conformismo. Elaine è sconvolta e fugge via. Ben cerca di sapere dove sia finita e scopre che la ragazza si è fidanzata e sta per sposarsi. Mancano poche ore al matrimonio, e Ben, con la sua Duetto rossa Alfa Romeo, cerca di sapere dove sia il matrimonio e arriva poi alla chiesa ma è troppo tardi. Urla contro la vetrata, mentre i due giovani sono all’altare, il suo dolore e il suo amore. Elaine molla tutto e fugge via con lui sul primo autobus di passaggio, verso una destinazione ignota. Disse una volta Mike Nichols, il regista, in un’intervista: «La cosa che mi piace di più de Il laureato sono gli ultimi tre minuti del film, durante i quali i due giovani stanno seduti sull’autobus, frastornati e totalmente consapevoli di non aver risolto alcunché... Non sanno che diavolo dirsi... Molte cose sono possibili. Non si tratta di una conclusione, per Benjamin molte scelte rimangono aperte». Molte scelte erano aperte in quel lontano 1967, per i giovani della classe media bianca. I neri sono già da tempo in piazza a lottare per i loro diritti: la marcia da Selma a Montgomery, guidata dal dottor Martin Luther King, è del 1965, e centinaia sono stati i ragazzi bianchi che sono andati nel Sud a battersi per fare iscrivere i neri nelle liste elettorali. Solo tre anni separano Il laureato da

Fragole e sangue e è come un’era geologica: nel mezzo c’è la guerra del Vietnam, le bare dei soldati che tornano a casa, la rivolta nei campus.

Fragole e sangue racconta di una lotta in un’università e della feroce violenza della polizia: le fragole vengono dalla sciocchezza di un rettore di un’università ( «I pensieri degli studenti per me sono come le fragole» ), il sangue invece veniva dalla Kent University, dove per sedare una protesta la Guardia nazionale sparò uccidendo quattro studenti e ferendone decine: la foto di Mary Ann Vecchio che in ginocchio urla la propria disperazione vicino al corpo di un ragazzo ucciso vinse il Pulitzer e diventò un’icona della protesta. Le scelte erano state fatte.

Adesso i ragazzi sapevano da che parte stare. Come avevano scritto Simon e Garfunkel per The Sound of Silence, l’altra loro canzone de Il laureato: «The words of the prophets / Are written on the subway walls / And tenement halls / And whispered in the sound of silence – le parole dei profeti sono scritte sui muri della metro e nei cortili delle case popolari, e sussurrate nel suono del silenzio». Oh America.