Qualche settimana fa abbiamo pubblicato in esclusiva la lettera integrale che Francesca Occhionero ha scritto dal carcere romano di Rebibbia per denunciare le condizioni disumane di detenzione che sta vivendo insieme alle altre detenute. Oggi, mentre è in corso anche una petizione su Change. org rivolta al Presidente Mattarella per chiedere di porre fine alla detenzione preventiva della donna, torniamo sulla vicenda dei fratelli Occhionero, accusati dalla Procura di Roma di aver creato una centrale di cyberspionaggio per monitorare istituzioni, pubbliche amministrazioni, studi professionali, imprenditori, politici di primo piano e massoni. Sentiamo il punto di vista della difesa.

Avvocato Roberto Bottacchiari, sulla stampa è emerso che i fratelli Occhionero sapevano di essere indagati e per questo avrebbero sistematicamente cancellato file compromettenti. Addirittura avrebbero negato di fornire le password e bloccato l’accesso ai loro pc lanciandosi sui computer appena gli agenti sono entrati a casa loro.

Si tratta di una fantasiosa ricostruzione giornalistica. Gli investigatori sono entrati per arrestare Giulio con un provvedimento che prevedeva anche il sequestro dei pc, non l’accesso agli stessi, ma la polizia insisteva nel voler accedere. Questa cosa ha indisposto Giulio che si è rifiutato di fornire le credenziali di accesso anche per proteggere i dati dei suoi clienti. I computer devono essere analizzati nel rispetto di tutte le regole del contraddittorio, in base alla metodica forense che preserva dal rischio di contaminazione e cancellazione dati. Cosa analoga è accaduta con Francesca: in maniera insistente, con fortissima pressione, le chiedevano la password di accesso, lei rispondeva che non aveva la password perché lavorava con la smart card. Loro l’hanno costretta a digitare la password ma non è servito a nulla e gli investigatori hanno sostenuto che lei abbia sfilato di proposito la smart card. Il fatto di averla sfilata è stata una reazione di autodifesa rispetto a quello che stava accadendo. Non è che Francesca non ha collaborato, sono gli investigatori che sono andati contro le regole. E poi in assenza dell’avvocato: ero stato avvisato ma nessuno mi aveva parlato di accesso ai computer.

Sta dicendo che la polizia ha operato in maniera illegale?

Quantomeno con dubbia legalità: d’altronde basti pensare che la polizia postale ha inoculato, qualche mese prima dell’arresto, un malware nel computer di Giulio. Sono entrati con un falso aggiornamento Microsoft. Da intercettazione passiva si è trasformata in attiva: hanno compiuto una attività di perquisizione e sequestro e non lo hanno comunicato. Giulio comunque ha presentato una denuncia alla Procura di Perugia che ha avviato le conseguenti indagini.

Passiamo al cuore dell’indagine: gli Occhionero sono accusati di essersi introdotti in oltre 18000 profili e di aver conservato in server americani i dati acquisiti illecitamente.

Punto primo: sul fatto che il malware appartenga a Giulio non esiste alcuna prova. Inoltre sono state fatte anche indagini patrimoniali e non sono stati trovati soldi estorti a qualcuno dei possibili soggetti spiati. Poi sfatiamo subito un altro aspetto che è stato urlato dalla stampa: il computer di Matteo Renzi non poteva essere infettato perché usava Apple mentre il software che avrebbe usato Giulio è Microsoft. Inoltre dall’analisi dei nostri periti solo 1935 ( 8,2%) username recano anche la password ma non risultano essere stati mai utilizzati; all’interno dei 1.935 indirizzi, solo 11 ( 0,5%) sono relativi ad Enti; da essi, non risultano essere mai state utilizzate le credenziali; nessun elemento risulta transitato verso Giulio Occhionero: nessuna esfiltrazione. Rispetto a quest’ultimo punto un grave errore è stato commesso dal Tribunale del Riesame che scrive di dati esfiltrati. Il pm Albamonte ci ha confermato che invece nelle contestazioni manca l’esfiltrazione.

Però addirittura nelle indagini sarebbe intervenuta l’Fbi con i suoi potenti mezzi.

Come si legge espressamente nel documento che vi ho fornito, il 21 marzo 2016 la Polizia Postale Italiana chiedeva agli americani di sapere dove Giulio avesse comprato la licenza di un software ( Afterlogic Corporation) che sarebbe servita, a parer loro, per comporre il malware. L’Fbi ha risposto, specificando che tutto quello che aveva comunicato non poteva essere usato dall’Italia in nessun procedimento legale. E invece ce lo troviamo nell’ordinanza di custodia cautelare. Ma poi secondo il buon senso Giulio andava a comprare la licenza dando il suo nome e la sua carta di credito se avesse avuto intenzioni illegali? Per non dire del fatto che mai un hacker collocherebbe i propri server nel Paese - gli Usa - con la più severa legislazione in materia di crimini informatici. Insomma, tutto stride con la linea dell’accusa.

Si è scritto anche che Giulio Occhionero spiasse il pm Albamonte.

Non è affatto così. Semplicemente aveva incaricato una persona di procurargli gli appunti di un intervento che Albamonte aveva tenuto in un convegno sui reati informatici.

La sua cliente è in custodia cautelare da ormai quasi otto mesi.

Purtroppo, come ha ben descritto nella sua lettera Francesca, le condizioni di detenzione sono difficili. Contro di lei sembra esserci una sorta di accanimento. Alcuni esempi: la precedente udienza è stata segnata da un episodio che lascia quantomeno perplessi: i fratelli Occhionero sono stati condotti in Tribunale con le manette ai polsi, con un caldo afoso, e senza poter bere dell’acqua dalla bottiglietta che gli volevamo offrire noi avvocati. Ma la cosa drammatica è che la giudice era in ferie e nessuno ci aveva avvisato! Per non parlare delle vessazioni che subisce: circa un mese fa una detenuta si è infiltrata tra i visitatori tentando la fuga. Hanno dato la colpa a Francesca chiedendole perché non avesse avvisato le guardie che la detenuta voleva fuggire. Dopo questo le è stato dimezzato il piazzale dove corre. Questa cosa è fuori da ogni regolamento.

Secondo gli inquirenti ad incastrarla sarebbero sostanzialmente due intercettazioni telefoniche: in una lei rispondendo al fratello dice ' Giulio ti prego di non coinvolgere mamma nei nostri problemi...... come vedi sono dei falsi allarmi' e la seconda in cui lei, parlando con un tecnico informatico, dice che ha necessità di connettersi ai server Usa, dove, secondo la relazione della Mentat, sarebbero custoditi i dati esfiltrati.

Nel primo caso quell’espressione è mal collocata nel contesto investigativo, non è oggetto di acquisizione agli atti del processo e si riferiva ai problemi economici per superare i quali la mamma aveva ampiamente contribuito, ad esempio vendendo un villino a Santa Marinella per dividere il ricavato tra i due figli. Come si legge chiaramente dalla trascrizione della seconda telefonata la mia cliente dice espressamente ' non sono un tecnico informatico' e chiede aiuto per entrare nel dominio dell’azienda che dirige, ossia la Westlands. com a cui specifica che accedono anche altri dipendenti. Quindi di quale oscuro server stiamo parlando? Ci tengo però a dire che a riguardo della mia cliente è avvenuto un fatto gravissimo: a Francesca il Tribunale del Riesame ha negato i domiciliari perché si rifiuta di collaborare. Quale norma prevede questo? Un’altra motivazione è che potrebbe reiterare il reato utilizzando lo smartphone ma i periti hanno già stabilito che dal cellulare quel malware non può essere utilizzato.

Avvocato ascoltando la sua versione, quella dei fratelli Occhionero sembrerebbe una montatura gigante.

Senza il reato di esfiltrazione di dati, di cui ripeto non si hanno prove, il reato minore che così rimarrebbe sarebbe quello di aver tentato di utilizzare una email con relativa password. Questa è cosa ben diversa dall’aver danneggiato il computer di qualcuno, che è l’aggravante che giustifica la custodia cautelare, ma non vi è stato nessuno che abbia potuto dire una simile cosa. L’Acea ha persino rinunciato a costituirsi parte civile per non aver subito danni.