Lo scandalo delle intercettazioni non finisce mai. Adesso però le parti si sono un po’ invertite. Quelli che sin qui si erano sempre pronunciati per la libertà piena di intercettare, di intercettare chiunque, di distribuire le intercettazione ai giornalisti e di pubblicarle, adesso si sentono vittime. E chiedono la privacy. Giustamente. Infischiandosene a viso aperto di ogni possibile richiamo alla coerenza.

Ieri “Il Fatto Quotidiano” trasudava indignazione – finalmente - perché ha scoperto che alcuni Pm di Napoli, tempo fa, avevano chiesto di intercettare alcuni giornalisti del “Fatto” coinvolti nell’inchiesta sulla violazione dei segreti da parte della stessa Procura di Napoli. L’indignazione del Fatto, del resto, è del tutto giustificata perché le intercettazioni, se ci fossero state, sarebbero state un atto arbitrario. Perché Lillo no e Renzi sì? il colore delle intercettazioni

E infatti queste intercettazioni non ci sono mai state, perché il Gip di Napoli ( che probabilmente conosce le leggi) ha spiegato che per intercettare qualcuno è necessario che il reato sia grave ( e cioè sia punibile con una pena massima che supera i cinque anni di carcere) mentre l’inchiesta sulla fuga di notizie riguarda un reato con pene massime di tre anni. E ha negato l’autorizzazione ad intercettare. Capitolo chiuso?

Macché, Il Fatto non è per niente tranquillo, perché sebbene in questo caso non ci sia stato nessun abuso da parte della magistratura, c’è stato comunque comunque un rischio di abuso, che era insito nella richiesta dei Pm rigettata dal Gip.

In qualche modo si può anche dare ragione al Fatto. L’idea che si debba ricorrere alle intercettazione dei giornalisti per indagare su un piccolo reato, risponde perfettamente a quella idea di “giustizia di polizia” che purtroppo in Italia dilaga, ma che chiunque ami la civiltà vorrebbe fermare. Non è una novità il fatto che nel nostro paese il numero delle intercettazioni sia di circa 1000 volte superiore al numero delle intercettazioni che si fanno in Gran Bretagna, sebbene la Gran Bretagna abbia un indice di criminalità molto più alto del nostro. E’ chiaro che se decidi di intercettare persino Marco Lillo ( per provare a incastrare il tuo collega Woodcock) la quantità di telefoni intercettati sarà sempre più alta e insopportabile.

Dunque piena solidarietà a Lillo e Travaglio. Ma...

Ma è difficile non chiedere loro come mai non si sono preoccupati, tempo fa, quando veniva intercettato - probabilmente in violazione delle leggi, e comunque del buonsenso - il signor Tiziano Renzi, che era indagato per il reato ( nuovo di zecca e finora, credo, mai usato per una condanna penale) di traffico di influenze ( pena massima tre anni, decisamente inferiore al limite dei cinque, dei quali si è parlato, che consente le intercettazioni). Si potrebbe rispondere: perché gli inquirenti immaginavano che intercettare Renzi potesse aiutare le indagini sui reati di Romeo, che erano più gravi. E’ vero che in punta di diritto questo è possibile, ma la legge dice che è possibile in casi eccezionali: quando è assolutamente necessario, o quando i delitti siano molto gravi, come un sequestro di persona o un omicidio. Non è il caso di Tiziano Renzi.

Però c’è una seconda obiezione: la protesta di Travaglio e del Fatto si concentra sull’attacco alla libertà di stampa, visto che la richiesta di intercettazione riguardava un giornalista, e tendeva a far saltare il suo segreto professionale.

Giusto di nuovo, e di nuovo solidarietà a Travaglio e Lillo.

Poi però un’altra domanda. Il segreto professionale del giornalista molto discusso in giurisprudenza – è sicuramente importante. Naturalmente però non è importante come il segreto professionale dell’avvocato, che è un caposaldo del diritto alla difesa previsto dalla Costituzione. Ecco, come mai Il Fatto Quotidiano - che in genere si mostra amico della Costituzione) non si è indignato neanche un po’ quando è stata intercettata la telefonata tra Tiziano Renzi e il suo avvocato? Sebbene fosse una telefonata che riguardava il rapporto tra avvocato e difesa e dunque fosse assolutamente proibito realizzarla e soprattutto diffonderla. E non solo non si è indignato - sebbene si trattasse di un abuso clamoroso ma si è fatto passare il testo della telefonata dalla sua fonte in Procura ( che giustamente tiene segreta) e l’ha pubblicato, certamente compiendo un reato ( non è questa la cosa importante) ma anche violando in modo plateale e abbastanza vile un principio essenziale della nostra democrazia, della Costituzione, della legalità, e, naturalmente, dello Stato di Diritto?

Capisco che è una domanda antipatica, però se il giornalismo italiano continua a vivere nella pavidità, nel timor panico verso i giornali che trasformano l’etica professionale in etica delle vendite, dell’aggressività, dell’arroganza verso le regole e il diritto, io penso che il giornalismo italiano finirà per predere completamente la sua funzione, il suo ruolo. Ed è lui stesso a mettere in discussione la libertà di stampa. Perché la libertà di stampa, e d’informazione, non può disconnettersi totalmente dalla necessità della coerenza e del rispetto della verità.

Comunque noi restiamo solidali verso Marco Lillo, Federica Sciarelli e Tiziano Renzi, perché tutti e tre sono vittime ( o hanno rischiato di esser vittime) dell’eccesso di poteri di pezzi della magistratura.

P. S. Nel suo editoriale di ieri, Marco Travaglio, giustamente esalta il ruolo e l’autorevolezza della Cedu ( la Convenzione europea che poi ha dato vita alla Corte Europea). E si lamenta del fatto che le sentenze della Cedu, spesso, in Italia vengono ignorate. Di nuovo d’accordo con lui. Totalmente. Tra l’altro – gli ricordiamo – la Cedu recentemente ha dichiarato illegittima la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa del dottor Bruno Contrada e – per estensione – di Marcello Dell’Utri. Son sicuro che Travaglio sia molto critico per il fatto che Marcello Dell’Utri non è stato ancora scarcerato.